Nelle tre giornate di Expo Salute Mentale 2019, i visitatori giunti all’ex Cartiera Latina hanno potuto assistere e partecipare ad una singolare installazione, dal titolo Non sono una bambola. Più precisamente si tratta di un’installazione a cura dell’Associazione Sementera Amnios che, a partire dall’Umbria, ha portato in tutta Italia la terapia amniotica, un intervento innovativo in ambito di salute mentale e in particolare nella cura per le psicosi.
Non sono una bambola nasce dall’esperienza di una paziente che ha subito violenze sessuali per molti anni da parte di un parente, di venti anni più grande, fin dall’adolescenza. Tale ragazza si è isolata completamente dal resto del mondo, rinchiudendosi in casa e disegnando occhi colorati di nero. In questi disegni, hanno spiegato le persone che hanno seguito il caso, è rappresentata la paura della ragazza di essere penetrata attraverso di occhi.
Non sono una bambola non è solo un’installazione ma anche una mostra delle opere di questa paziente che, nel corso di una lunga relazione terapeutica, ha cominciato ad interagire disegnando, prima solamente degli occhi neri, e poi dei volti con gli occhi sbarrati. Piano piano la paziente ha iniziato a fidarsi, aggiungendo particolari ai volti e agli occhi disegnati, cominciando a sostenere lo sguardo dei terapisti e a parlare, dopo ben dieci anni di mutismo. Dopo i disegni, la paziente ha cominciato a creare delle bambole dalla forma cilindrica, avvolte in dei nastri, come persone immobilizzate. Con alcune di queste bambole è stata creata la scritta “Non sono una bambola” esposta, insieme a numerosi disegni, in una sala dell’Expo.
L’installazione amniotica rappresenta, attraverso il linguaggio dell’arte contemporanea, ciò che accade nella terapia amniotica. L’opera è composta da tra vele che formano una sorta di capanna su cui viene proiettata, sia all’interno che all’esterno, la performance che avviene all’interno: un gruppo di persone si muove su un materasso ad acqua con l’intento di riprodurre l’azione di cura reciproca che avviene durante la terapia amniotica. La sensazione che si prova all’interno è di protezione, grazie alle vele e alle proprie immagini proiettate. Le persone coinvolte nella performance, infatti, non sono viste direttamente dal pubblico ma solo attraverso i video proiettati esternamente.
Per saperne di più sulla terapia amniotica abbiamo intervistato Maurizio Peciccia, responsabile dell’Associazione Sementera Amnios.
Come funziona la terapia amniotica?
La terapia amniotica si svolge in acqua calda, dove un gruppo di operatori specializzati accoglie persone che hanno sofferto, per carenze o per disturbi, della mancanza di quell’abbraccio infantile da parte dei genitori, che lo psicoanalista Donald Winnicott ha chiamato “holding”. Questo abbraccio, che tiene e sostiene, è anche un modo attraverso cui la mamma permette al bambino di esistere dal punto di vista psichico. A volte purtroppo qualcosa non funziona, per diversi motivi, e succede che le persone non si sentono sicure né protette, percepiscono la mancanza di quel confine naturale che è la “pelle psichica”, ovvero l’interiorizzazione di questo abbraccio. Se non c’è questo la persona ha dei confini fragili, una pelle psichica bucata: per utilizzare le parole di Winnicott, l’individuo “vive ma non esiste”.
Quali sono gli obiettivi della terapia amniotica?
L’idea della terapia amniotica è proprio creare una situazione di “holding”, ovvero di accoglienza e protezione materna, per le persone che ne hanno bisogno, conferendo fiducia e sicurezza attraverso la cura protettiva del gruppo. Inoltre, in acqua calda le distanze sembrano annullarsi, ed è possibile riattivare delle memorie che risalgono alla gravidanza, in quel tempo senza tempo e senza bisogni.
Con la terapia amniotica i pazienti migliorano la percezione del proprio corpo?
Accanto alla testimonianza del paziente, che ci descrive come si sente e i miglioramenti che percepisce, è possibile misurare quanto la persona ricostruisca la propria identità corporea. Vittorio Gallese (famoso per la scoperta dei neuroni specchio) ha infatti creato un paradigma per misurare in modo oggettivo come la terapia amniotica agisce sulla ricostituzione dell’identità corporea, ovvero tramite parametri sperimentali fisiologici, come ad esempio il battito cardiaco. Si tratta quindi di una valutazione empirica perché riguarda ciò che non può essere modificato soggettivamente, parametri del nostro sistema nervoso autonomo, che funziona indipendentemente dalla nostra volontà.
L’Associazione Sementera Amnios ha rapporti con le ASL?
Sementera Amnios ha rapporti con la ASL di Perugia e con la ASL di Roma 1, con la facoltà di psicologia dell’Università di Perugia, con le comunità terapeutiche della Liguria, con l’Università di Parma, in particolare con l’unità di neuroscienze del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dove insegna Vittorio Gallese.
Quali sono i progetti attivati con ASL, università e comunità terapeutiche?
Insieme sperimentiamo la terapia amniotica.