Dal gennaio 2017, essere transessuali in Danimarca non è più una malattia. Secondo la definizione dell’ultimo manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali (DSM), un promemoria per tutti gli psichiatri e psicologi di tutto il mondo, la transessualità da “disturbo dell’identità di genere” è diventato “disforia di genere”, ma ancora trattasi di malattia.
Che cos’è la disforia di genere
La disforia di genere comporta una forte e persistente identificazione nel sesso opposto quello biologico. E’ importante distinguere la disforia di genere dall’orientamento sessuale e non va confusa con esso: i transessuali da maschio a femmina(MtF) e da femmina a maschio (FtM) possono essere eterosessuali, omosessuali o bisessuali, come le persone cisgender.
La disforia di genere riguarda la propria identità di genere (il senso di sé, sentirsi un maschio o una femmina). Ad affrontare questo tema sono intervenuti professionisti e professioniste provenienti da ogni campo. Non sappiamo quali siano le cause della transessualità, ovvero se sia determinata solo dai geni, dagli ormoni o dall’ambiente socio-culturale, ma probabilmente è un insieme di varie cause.
Come affrontare la transizione
La persona transessuale deve essere seguita da una serie di figure mediche per affrontare la transizione: non solo chirurgo ed endocrinologo, ma anche psichiatra e psicologo. Si deve insistere sul fatto che debbano esistere figure professionali dedicate a questo tipo di interventi, ma anche sulla necessaria educazione e formazione di tutta la società.
Le terapie ormonali possono essere non accessibili a tutti (per esempio se il soggetto ha alcuni tipi di patologie); mentre per gli aspetti psicologici della transizione di genere, si consiglia alle persone transessuali di seguire una psicoterapia, prima, durante e dopo il cambiamento di sesso. Essa non è obbligatoria per legge, ma è altamente consigliata, anche perché una forte percentuale di suicidi è registrata anche dopo l’attribuzione del nuovo sesso.
Perché essere trans è considerato una malattia
La definizione: una persona è trans quando nasce con i caratteri biologici di un sesso (maschio o femmina), ma sente di appartenere al genere opposto. Si tratta di trans FtoM (Female to Male), quando si passa dal genere femminile a quello maschile e MtoF nel caso opposto. Spiega Marcasciano che l’idea che la transessualità ed il transgenderismo siano una malattia proviene dal pregiudizio.
L’identità trans non ha effetti sulla vita di una persona dal punto di vista socio-culturale, se non la conseguenza dello stigma che nei decenni si è radicato contro di loro. La spiegazione della Marcasciano continua: “se un tuo vicino o una tua vicina è trans potresti non accorgetene mai; lo stesso vale se ha cominciato il percorso di transizione, se è in una fase avanzata o alla fine del percorso”.
Perché invece non è una malattia
Tra gli stereotipi che colpiscono di più le persone transgender, per lo più gonfiato dai mass media, c’è quello che siano tutte prostitute (degli uomini trans raramente si parla). In realtà le persone trans svolgono tutti i lavori possibili. La Marcasciano conosce personalmente transgender che sono astrofisici o astrofisiche, bancari o bancarie, manager o insegnanti che svolgono lavori di grande responsabilità.
Una delle chirurghe più brave famose degli Usa, Marci Bowers, è trans ed è una pioniera nel campo degli interventi per la riassegnazione del genere. Se fossero malati di mente, chi affiderebbe a loro incarichi e lavori di così grande responsabilità?
E’ vero che le persone trans hanno bisogno di un’assistenza medica precisa e competente: psicologi, endocrinologi e chirurghi sono figure fondamentali nel percorso di transizione. Continua la Marcasciano: “ci sono le cure ormonali, l’aiuto psicologico e quello chirurgico, ma la medicalizzazione e la patologizzazione sono due cose molto diverse tra loro”.
Il percorso medico si rivela tanto più tortuoso e difficile quanto più è elevato il livello di pregiudizio della società in cui si compie. E’ soltanto un aiuto e un accompagnamento nell’esperienza della transessualità che fortunatamente oggi avviene secondo protocollo precisi e professionisti preparati. Una volta prima dell’approvazione della legge 164 (quella che riconosce il genere di transizione) le persone facevano da sé. Non si può nemmeno immaginare a cosa andassero incontro e quali danni procurassero a sé stesse.
Cosa dice la legge
La legislazione è molto più avanti della società. La legge 164 che riconosce alle persone transessuali la loro condizione e ne riconosce il sesso di transizione risale al 1982, quando al governo c’era ancora la Democrazia Cristiana. Però solo dal 2015 il cambio di sesso anagrafico può essere effettuato anche se la persona transessuale non si è sottoposta all’intervento chirurgico di riattribuzione del sesso, prima era necessario essere stati operati.
Prima del 2014, in caso di riattribuzione del sesso, una persona sposata era costretta a sciogliere il vincolo. Ora invece accade solo se si dichiara apertamente di volersi separare dal proprio marito o dalla propria moglie.
Se non è una malattia, si combatte la discriminazione
Eliminando la transessualità dal DSM, riconoscendo una condizione che non è patologica, sarebbe un contributo concreto per chi affronta il percorso di transizione. Spiega ancora Porpora Marcasciano: “una cosa è parlare di disforia di genere, che fa riferimento a una voce del manuale diagnostico, una cosa è parlare di un’esperienza umana significativa, come noi l’abbiamo definita; a livello simbolico, politico e scientifico la differenza esiste”.
Si parla così anche di una questione culturale e di apertura della società: la Storia insegna che le società che si sono chiuse, si sono estinte. Allargando i suoi orizzonti significa evitare che imploda o sparisca. Questa è la convinzione della fondatrice del MIT. Significa inoltre dare la possibilità alle persone di vivere in equilibrio con sé stesse.
In special modo in tessuti sociali con maglie strette, le persone trans si sentono come un eschimese in Amazzonia, strane, diverse, escluse. La Marcasciano conclude: “sfido chiunque a vivere in quelle condizioni e mantenere il proprio equilibrio”.
Susanna Pinto
Foto: psiconline.it