Sex Work: la paura, il piacere e la realtà

Con la pandemia lo scambio sessuo-economico si riorganizza 

Secondo i dati di EscortAdvisor a marzo 2021 c’è stato un aumento del 15% di escort attive e del 23% di ricerche online dei clienti. Mettendo a confronto su Google Trends la ricerca della parola chiave “escort” con “parrucchieri” e “ristoranti” – due servizi sempre ricercati, perché al centro di restrizioni e riaperture – emerge che il termine più cercato dei tre, tra il 1° gennaio 2021 e il 31 marzo 2021, è stato proprio “escort”, con una frequenza costante. 

Questo non può che lasciarci immaginare l’universo che negli ultimi mesi si è venuto a creare intorno a un mondo non regolamentato, che viaggia su un doppio binario, tra sociale e intimità, tra illegalità e trasgressione.  

Provando a mettere ordine sulle varie informazioni emerse in questo tempo dalle decine di ricerche, interviste ed esplorazioni, partiamo proprio da quel lockdown che ha cambiato il nostro mondo e le nostre abitudini e ci ha costretti a modificare la nostra quotidianità. 

Ovunque in Europa e in gran parte del mondo, le misure per il contenimento del Covid hanno imposto la chiusura di sale massaggi, eros centers, saune, hotel, oltre a limitare o impedire del tutto gli spostamenti tra territori e all’interno degli stessi. Le strade vuote, o quasi, soprattutto di notte. Dove sono andati, come hanno vissuto in queste circostanze di perdurante emergenza le lavoratrici e i lavoratori del sesso? Sostanzialmente come tutti. Inventandosi un modo per resistere.  

In Italia le unità di strada, osservatori privilegiati sul fenomeno della prostituzione outdoor, hanno raccontato una realtà problematica. Le sex workers, donne e trans, hanno, fin dall’inizio dell’epidemia, abbandonato quasi del tutto le vie delle città. L’hanno fatto, ovviamente, per paura del contagio, per responsabilità verso la salute pubblica, ma anche per timore delle sanzioni, per non incorrere nei controlli delle forze dell’ordine. Clienti, del resto, in giro non se ne vedevano. 

Data la natura non riconosciuta del lavoro sessuale, la maggior parte delle e dei sex workers non ha potuto usufruire delle protezioni previste per altri lavoratori/trici, come l’indennità per malattia, o non è stato in grado di usufruire delle prestazioni sociali di emergenza istituite dal governo. Solo una minoranza, le poche professioniste con Partita Iva, si è vista riconoscere l’indennità di 600 euro per lavoratori autonomi. Per questa ragione è stato necessario trovare un modo per resistere e, diremmo, ancor più per esistere.  

Si stima che siano 400 mila i sex workers a essere stati catapultati in condizione economiche precarie a causa della pandemia. Molti e molte lavoravano in condizioni già rischiose e sul confine della legalità, quindi è evidente come nessuno si sia premurato di risparmiare denaro per una situazione di questo tipo. 

Questo non fa che aggiungere dramma a una categoria che per definizione viaggia tra stigma e ombre, legittimata solo se esercita negli ambienti in grado di fornirle protezione, altrimenti abbandonata a se stessa, con tutti i limiti dati dal grigiore di assenza di regole, tutela e riconoscimento sociale. 

E se da un lato esiste l’immobilismo istituzionale, dall’altro ci sono le persone. Sex workers e clientela si sono dati da fare per cercare un modo per tornare a esserci. E le storie sono di evoluzione tecnologica e di cambi di percezione. Chi ha potuto, o ne è stato in grado, ha fatto un upgrade spostandosi sul virtuale, sulle cam e sui siti specializzati. Abbiamo visto come, proprio negli ultimi mesi, sono aumentate in maniera notevole le piattaforme per effettuare videochiamate, oltre che strumenti per realizzare al meglio riprese video. Tutto questo non poteva non diventare un nuovo mezzo per esporsi e proporsi anche nell’ambito del lavoro sessuale. Contemporaneamente il ritorno alla strada e alle vie della città è stato immediato, appena si sono allentate le restrizioni, ma sono state condizionate da orari e coprifuoco, con conseguente cambio non solo di modalità di esposizione e promozione, ma anche di clientela. Venendo a mancare il “favore delle tenebre” e le abituali scuse per la passeggiata serale (dire “vado al bar a comprare le sigarette” dopo le 18 non è stato possibile per molto tempo), ecco che cambia la categoria di lavoratori che accede ai servizi sessuali a pagamento. Alcuni aspetti emersi lasciano quantomeno interdetti, ed evidenziano come la clientela stessa è maggiormente attenta alla sanificazione e alle nuove regole acquisite in questi mesi, mettendo però quasi definitivamente da parte temi che sempre meno sono sotto la lente della comunicazione di massa: ovvero le malattie sessualmente trasmissibili, per cui si arriva al controsenso di avere clienti che richiedono di fare sesso non protetto, ma con la mascherina.  

È anche vero che il periodo storico ha favorito la stabilità e la fidelizzazione, sempre su logiche dettate dalla paura di contrarre il virus, per cui un cliente è più tranquillo frequentando la stessa sex worker. A questo aggiungiamo segnali importanti di un movimento di autocoscienza dei clienti, nato in modo spontaneo in rete e sostenuto anche da alcuni progetti sperimentati in Svizzera e in Canada, che mirano a educare a un acquisto di sesso consapevole, lontano sia dalla dipendenza che dalla violenza e capace di riconoscere le possibili condizioni di schiavitù del/della sex worker. Ancora una volta la consapevolezza può portare risvolti di tutela e di cura, affinché il benessere di tutti gli attori coinvolti assuma maggiore importanza: uscire da un consumo intensivo in luogo di esperienze di qualità. Esattamente come sta accadendo per il cibo e altri beni più o meno necessari. 

Termoscanner e igienizzante sul comodino dunque, green pass sempre più richiesto sia da chi acquista che da chi vende, evoluzione e adattamento a forme nuove di mercanteggiare il sesso, aumento della distanza, modificazione e ampliamento dell’offerta, accogliendo anche chi profumatamente paga per violare norme e sicurezza. Lo scambio sessuo-economico si riorganizza in base al movimento del mercato, della richiesta e dell’offerta, come ogni altro sistema dettato da principi di economia. Pecunia non olet. 

 

Fabio Grimaldi – Psicologi in Ascolto 

 

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