Le recenti proteste di piazza, a volte sfociate nella violenza, contro i provvedimenti restrittivi del Governo, si possono vedere come un tentativo di mettere in crisi l’ordine civile, alimentando gli animi dei cittadini disperati dagli effetti della crisi economica e sanitaria.
Ciò è accaduto in una fase in cui l’Italia si trova stretta tra i morti per il Covid-19 e il disagio sociale causato dalle restrizioni sempre più aspre, sancite dei vari dpcm autunnali.
In realtà, le proteste sono iniziate già lo scorso maggio, quando gruppi ultras, simpatizzanti e membri di estrema destra hanno provato a dare sfogo anzitutto a un malessere non sempre solo riconducibile ai decreti anti-covid, ma a ben altro tipo di disagio.
Le proteste si sono verificate in maniera sempre più frequente in varie città italiane, soprattutto nella capitale, tra ottobre e novembre, a cui si sono aggiunti anche movimenti pacifici di cittadinanza (come la protesta dei ristoratori) e i movimenti studenteschi con lo slogan “Tu ci chiudi, tu ci paghi”.
In questo contesto, le risposte del Governo alle categorie più colpite dalle restrizioni si può far confluire nelle parole del premier Conte, il quale, dopo aver annunciato le nuove disposizioni, ha subito chiarito che il Consiglio dei Ministri avrebbe varato un nuovo decreto per l’erogazione di “ristori” economici (in proporzione alla dichiarazione dei redditi). Inoltre, considerando l’arrivo di nuove risorse, costituite dal Recovery Fund, superata la pandemia sarebbe possibile annunciare un avvenire più prospero per l’Italia e l’Europa, in virtù di nuovi investimenti economici.
Alla luce di ciò, una domanda è possibile: Perché cercare ulteriore conflitto nelle piazze, nel momento di una stretta più ampia e asfissiante come quella che stiamo subendo tra crisi economica e sanitaria?
Nel caso delle proteste degli estremisti, è il rigetto del passato democratico che va evitato. Per loro è il rivedersi dietro come nazione, con una storia democratica che dà fastidio e fa paura. Rivedere il passato spaventa anche a un livello più umano e individuale, in quanto tutti siamo persone con una storia da cui trarre degli insegnamenti per evolvere.
È su questo punto che bisogna lottare: saper discernere ciò che serve da ciò che ha procurato danni, ponendo quest’ultimo in continua discussione, evitando così, il più possibile, violenza e riottosità, che allontanano dal cambiamento autentico di una comunità.
È necessario trarre una consapevolezza collettiva dagli errori commessi, ripartendo dalle buone pratiche già esistenti nella società democratica italiana. Ciò ne darebbe una forma via via sempre più solida e chiara di un lento cambiamento evolutivo, attraverso la formulazione di nuove idee e soluzioni da mettere in pratica pacificamente.