Uno dei temi principali del nostro presente è rappresentato dai disordini scoppiati in America durante l’estate. Lo scorso 25 maggio, l’afroamericano George Floyd viene ucciso durante un arresto nella città di Minneapolis, nel Minnesota. Le cause che hanno portato alla morte del giovane suscitano forte indignazione nell’opinione pubblica. Da lì in poi si assiste a delle vere e proprie rivolte in molte città degli Stati Uniti.
Lo slogan più famoso, durante e dopo le proteste, rimane “Black Lives Matter”, ovvero un movimento politico decentralizzato nato nel 2013 per motivi affini. Ma come ha avuto inizio?
Dopo l’assoluzione del poliziotto colpevole della morte del diciassettenne afroamericano Trayvor Martin, ucciso a colpi di pistola il 26 febbraio 2012, sul web compare l’hashtag #BlackLivesMatter. La stessa frase diviene il motto delle proteste per la morte di Michael Brown, diciottenne afroamericano ucciso a colpi di pistola dalla polizia, nella città di Ferguson nel 2014.
Si va così a formare il movimento di protesta a difesa dei diritti degli afroamericani negli Stati Uniti, molto attivo, in particolare, durante il periodo delle elezioni presidenziali del 2016.
Da slogan che dà vita a un movimento, nel 2020 Black Lives Matter è tornato a essere un grido di protesta in tutte le città americane. Persino l’epidemia di coronavirus non è riuscita a fermare i disordini nati in seguito alle rivolte, con il presidente Trump che ha deciso di ricorrere alla National Guard, ossia l’esercito di riserva degli USA. Una vera e propria crisi razziale di altri tempi, con tutti i presupposti per questa definizione.
Come sappiamo, la storia degli Stati Uniti è tempestata di vicende gravi legate alla segregazione razziale, soprattutto nei secoli passati. Vediamo, invece, quali sono i precedenti più vicini al nostro presente, individuando le caratteristiche e i fattori determinanti della crisi razziale odierna.
La rivolta di Miami (1980)
Il 18 maggio 1980, dopo l’assoluzione di quattro agenti bianchi, colpevoli di aver picchiato a morte l’afroamericano Arthur McDuffie il 17 dicembre 1979, hanno inizio le rivolte razziali con più vittime dagli anni Sessanta in poi. L’uomo, trentatreenne agente assicurativo, viene fermato a bordo della sua moto per il controllo dei documenti di circolazione. In seguito al suo pestaggio, vengono manomesse le prove, indicando un inseguimento con successiva caduta dal veicolo. I quattro agenti, già condannati con l’accusa di omicidio colposo e manomissione delle prove, alla fine vengono assolti, provocando la rabbia della minoranza afroamericana. Migliaia di persone si riversano per le strade, causando, nei tre giorni successivi, 18 morti, 370 feriti e 787 arresti.
La rivolta di Los Angeles (1992)
I tumulti, scoppiati il 29 aprile 1992, passano alla storia come una delle peggiori rivolte razziali dei tempi recenti. Tutto ha inizio quando il tassista afroamericano Rodney King, con due clienti a bordo, forza un posto di blocco. I suoi clienti vengono arrestati, mentre Rodney viene brutalmente pestato da cinque agenti. L’uomo ne esce vivo, ma caso ha voluto che il suo pestaggio sia stato ripreso dal videoamatore George Holliday. Il video, della durata di ben 12 minuti, accende immediatamente gli animi della comunità afroamericana, già irritata dall’eccessiva pressione della polizia nei propri confronti. I fatti sono avvenuti il 3 marzo, mentre il 29 aprile si è tenuto il processo.
La composizione della giuria contava nove membri bianchi, uno ispanico e uno asiatico, mentre soltanto uno afroamericano da parte di padre. Il verdetto finale assolve tutti gli indagati tranne uno, accusato di abuso di potere. Così, il già presente malcontento della comunità afroamericana si tramuta in violentissime proteste, durate fino al 4 maggio, quando vengono placate anche grazie all’uso della Guardia Nazionale, un reggimento dell’US Army e un reggimento dei Marines. Le conseguenze sono state scioccanti, nei sei giorni di proteste sono morte 63 persone, tra le quali 10 uccise dalla polizia e dall’esercito. Si sono contati oltre 2000 feriti e più di 12.000 arresti.
La rivolta di Cincinnati (2001)
Nel 2001, Cincinnati registra un precedente analogo a ciò che si è visto negli scorsi mesi, anche se di portata minore. In questo caso a morire è un diciannovenne pregiudicato, proveniente dalla zona povera della città, ucciso a colpi di arma da fuoco il 7 aprile, dopo un inseguimento cominciato in macchina e terminato a piedi. La rivolta, durata cinque giorni, è iniziata il 9 aprile nel quartiere natale della vittima, Over-the-Rhine, quando la sera i manifestanti hanno affrontato la polizia giunta a controllare l’andamento delle proteste. In seguito, il quartiere Over-the-Rhine viene riqualificato, anche grazie al basso costo dei suoi immobili che ha attirato l’attenzione di numerosi investitori.
Oggi Over-the-Rhine è un luogo completamente diverso, con locali, uffici e aziende tecnologiche, ma che rimane un simbolo della lotta alla discriminazione nei confronti degli afroamericani in tempi recenti, anche grazie a vari eventi annuali.
Crisi razziale nell’istruzione superiore
Tra gli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio, un tema fondamentale negli Stati Uniti diviene quello della dispersione scolastica delle minoranze afroamericana e ispanica.
Se negli anni Settanta la presenza delle varie minoranze americane nell’istruzione secondaria di secondo grado subisce un incremento drastico, essa inizia rapidamente a rallentare il decennio successivo. Negli anni Ottanta, la percentuale di studenti di etnia caucasica arrivava all’87,3%, a seguire gli studenti afroamericani con l’8,1%, gli ispanici con il 1,6% e gli asiatici con il 2,1%.
L’unico gruppo in ascesa, durante il decennio indicato, è quello asiatico, o asioamericano. [Dati presi da: “Journal for Higher Education Management, Volume 5, Number 2, Winter/Spring 1990”]
Crisi razziale nell’epidemia di Covid-19
Nel presente, invece, il concetto di crisi razziale viene in gran parte associato alla pandemia di Coronavirus, dove il rapporto tra i positivi bianchi e quelli appartenenti a minoranze è particolarmente marcato.
La ricerca svolta dal gruppo APM Research Lab su dati pubblici, il 10 novembre 2020, mostra differenze notevoli tra il tasso di mortalità degli americani bianchi rispetto a quello dei cittadini afroamericani, latinoamericani, indigeni e abitanti del Pacifico sotto bandiera statunitense – Hawaii.
Ecco il tasso di mortalità da COVID-19 per etnie negli USA:
- Neri – 114,3 vittime per 100.000 abitanti
- Indigeni – 108,3 vittime per 100.000 abitanti
- Latino – 78,5 vittime per 100.000 abitanti
- Abitanti del Pacifico – 73,5 vittime per 100.000 abitanti
- Bianchi – 61,7 vittime per 100.000 abitanti
- Asiatici – 47,6 vittime per 100.000 abitanti
Come si può vedere, considerata anche l’età media di ogni gruppo etnico, i bianchi e gli asiatici mostra un numero di vittime da coronavirus inferiore a quello degli altri gruppi, in maggior misura se confrontato ai gruppi indigeno e afroamericano.
Conclusioni
È evidente che ci siano ancora grandi disparità tra i cittadini bianchi e altri gruppi negli Stati Uniti. Disparità delle quali si continua a parlare per casi simili tra loro, ma con decenni di distanza, dopo una prima effettiva rivoluzione avvenuta con l’abolizione totale della segregazione razziale.
Che riesca il movimento Black Lives Matter a rendere bene l’idea e a cambiare realmente le cose?
Emanuele Giuliani