Bruno Cignini è zoologo, docente di Conservazione e Gestione della fauna urbana all’Università di Roma Tor Vergata e si occupa da quarant’anni di tematiche relative alla Biodiversità Urbana. Ha al suo attivo oltre 180 pubblicazioni tra cui le ultime: ‘Biodiversità a Roma’ (2022), ‘Bugie Bestiali’(2021) e ‘Animali in città’ (2019). Collabora, come esperto e con presenze in trasmissione, con la trasmissione ‘Geo & Geo’ di Rai Tre, condotta da Sveva Sagramola.
Quali sono le condizioni per cui l’animale selvatico si avvicina alla città urbanizzata?
Prima di rispondere a questa domanda devo fare una premessa. Cercherò di essere breve: Roma ha un’estensione di circa 130 mila ettari, 10 volte la città metropolitana di Torino o Bologna. La campagna romana, cioè il territorio fuori dal Raccordo anulare, è ancora molto esteso: parliamo di 52 mila ettari complessivi con 2 mila aziende agricole ancora in produzione, 22 parchi e aree naturali protette come Decima-Malafede, Marcigliana, la Riserva del Litorale, il parco dell’Appia antica ed altri. Nel territorio cittadino, inoltre, insistono 40 ville storiche; pensate che solo Villa Pamphili ha un’area di 184 ettari. Insomma complessivamente ci sono 86 mila ettari ancora liberi dall’urbanizzazione, circa il 67% del territorio totale, attraversati da un reticolo idrografico significativo, che insieme al fiume Tevere comprende: l’Aniene, l’Almone (il fiume sacro ai romani) e tutti i fossi minori affluenti di questi corsi d’acqua. Questa peculiare situazione ambientale consente agli animali selvatici, oltre agli uccelli che volano, come gli anfibi, i mammiferi e i rettili, di spostarsi dalla campagna al centro urbano attraverso i corridoi ecologici, una sorta di passaggi ambientali che si incuneano dentro la città a tutte le latitudini: il parco di Veio e la riserva naturale dell’Insugherata a nord, il parco dell’Appia antica a sud, la valle dell’Aniene a est e la zona naturale Litoranea a ovest.
E poi bisogna sottolineare che in città fa più caldo, dai 3 ai 5 gradi in più, ciò consente agli animali selvatici di avere un risparmio energetico significativo. Se aggiungiamo che la città è più sicura perché ci sono meno predatori e la caccia è vietata e l’offerta di cibo è a portata di cassonetto, (anche per una raccolta dei rifiuti malgestita) ci spieghiamo perché Roma è la capitale della biodiversità a livello europeo.
Negli ultimi anni quali sono le specie che si sono stabilite nell’ambiente cittadino ? Durante e dopo la pandemia cos’è cambiato?
Il realtà poiché il quel periodo stavamo più in casa, davamo meno disturbo agli animali selvatici che si avvicinavano alla città come le volpi e i cinghiali. Naturalmente alcune specie hanno anche aumentato la loro presenza. Di falchi pellegrini, i predatori più spietati e veloci, (raggiungono i 300 chilometri orari) fino a 40 anni fa ce n’erano qualche coppia; da 10 anni a questa parte ne abbiamo censite venti coppie nidificanti. La prima con Aria e Vento, così chiamammo i falchi femmina e maschio, si installò sull’edificio della facoltà di Economia e Commercio della Sapienza. Ora stanno sul palazzo della Regione Lazio sulla Cristoforo Colombo, sulla Basilica di San Paolo, all’Eur e sulla collina dei Parioli, a viale Tiziano a poche centinaia di metri dalla centralissima Piazza del Popolo. Quelle che sono aumentate a dismisura sono le specie esotiche molto adattabili come i pappagalli “parrocchetti”, che dal parco della Caffarella hanno colonizzato tutte le aree verdi e i giardini della città. Si tratta del “parrocchetto monaco”, distinguibile dalla tipica gola grigia, che fa i nidi intrecciando i rametti e il” parrocchetto dal collare” che nidifica nelle cavità degli alberi e negli anfratti del Colosseo, scacciando le altre specie autoctone come i picchi e le cinciallegre. Bisogna dire anche che i tetti a coppi dei palazzi storici nel centro di Roma o gli anfratti delle antiche basiliche sono rifugi ricercati ed adatti ad ospitare nidi di rondoni, falchi o gheppi.
L’ultimo arrivato in città è il lupo. Bisogna sapere che negli anni Settanta c’erano circa 100 esemplari nel Parco Nazionale dell’Abruzzo; erano sull’orlo dell’estinzione e solo dopo l’operazione San Francesco di ripopolamento, questo animale ha riconquistato i territori. Oggi il censimento dell’Ispra conta circa 3.500 esemplari in Italia. Dunque il lupo si avvicina alla città di Roma, una coppia è da alcuni anni stabile nella tenuta agricola di Castel di Guido sull’Aurelia, un’altra a Castel Fusano, tre nuclei nel Parco di Veio-Insugherata, due a Decima-Malafede. I lupi solitamente vivono in coppia, in branco o da solitari e sono proprio questi ultimi, particolarmente esemplari giovani, che si avvicinano alle zone urbanizzate. Sono stati trovati escrementi di lupo nei pressi di Corso Francia. La loro preda sono i piccoli cinghiali e infatti questi suidi hanno diminuito la loro presenza in città.
Quali sono le specie che hanno apportato una svolta positiva all’ecosistema urbano e quali quelle che lo danneggiano?
Beh…il falco pellegrino per esempio è importante perché interviene nella selezione naturale dei piccioni comuni, li preda e li tiene a bada. Anche i gabbiani reali e le taccole tengono basse le quantità di piccioni. E poi ci sono i rapaci notturni come i barbagianni e gli allocchi che si nutrono anche di ratti, le famose “pantegane”, che frequentano le fogne cittadine. Insomma svolgono una sorta di intervento igienico diminuendo eventuali trasmissioni infettive.
Qual è deve essere il comportamento dei cittadini nei confronti degli animali selvatici ?
In primo luogo bisogna rispettarli e non dare il cibo agli animali selvatici. Per esempio è abitudine lasciare i croccantini per i gatti fuori casa e spesso i ricci ne approfittano, perché sono molto appetibili. Ma a lungo andare questi alimenti sintetici fanno male e poi i selvatici perdono la diffidenza per l’uomo, diventando troppo confidenti e meno capaci di procurarsi il cibo.
Cosa si può fare invece? Mettere sui balconi e le terrazze le cassette nido per favorire la nidificazione o collocare delle mangiatoie. Per esempio nel periodo invernale gli uccelli potrebbero giovarsi delle granaglie lasciate dall’uomo, mentre nelle altre stagioni è meglio che trovino il cibo per conto loro.