Il 4 gennaio 2020, all’età di 92 anni, è scomparsa Lorenza Mazzetti, un’artista eclettica, oggi diremmo multimediale, che non amava le etichette. «Non sono una regista, ho fatto dei film. Non sono una scrittrice, ho fatto dei libri» diceva, e potremmo continuare tirando in causa il teatro di burattini per bambini che ha diretto a Roma per circa trent’anni. E poi la grande passione per la pittura. «Dipingere per lei era come respirare» dice Francesco Frisari, autore televisivo e co-regista, insieme a Steve Della Casa, del documentario Perché sono un genio! Lorenza Mazzetti che racconta gli anni Cinquanta e Sessanta della vita tanto fiabesca quanto tragica di una donna che ha trovato nell’arte un rifugio di bellezza e poesia.
Rimasta orfana insieme alla gemella Paola (la madre morì di parto e il padre successivamente a causa di un incidente), cresciuta dalla zia Nina e dal marito Robert Einstein (cugino dello scienziato Albert), durante il nazismo perde anche la famiglia adottiva, sterminata per le sue origini ebraiche.
Mazzetti amava la poesia dei film neorealisti del sodalizio De Sica-Zavattini, di Visconti ma anche il realismo poetico di Renoir. Nel ’55 ha fondato il Free Cinema insieme a nomi quali Lindsay Anderson, Karel Reisz, Tony Richardson con i quali ha girato i primi film K e Together, quest’ultimo vincitore del premio dell’avanguardia al Festival di Cannes del ’56.
Il trasferimento a Londra fu fatidico per la sua vita, quella di un’intraprendente esploratrice che, pur non conoscendo l’inglese, si avventurò nella capitale britannica e convinse il direttore della Slade School of Arts ad ammetterla esclamando «perché sono un genio!». Da qui il titolo del documentario su di lei presentato al Festival di Venezia nel 2016. Proprio in quell’occasione Mazzetti ha visto per la prima volta il film. «Ero terrorizzato» ricorda il regista Frisari «Lorenza era seduta accanto a me, mi stringeva la mano, e di questo ero contento, ma avevo paura del suo giudizio. Fortunatamente il film le è piaciuto e alla fine ha esclamato quello che per me rimane il complimento migliore: Che bello, non sapevo mai cosa sarebbe successo!»
Nel corso di un incontro stampa, il regista Francesco Frisari ha risposto ad alcune domande sulla realizzazione del documentario e sulla figura unica di Lorenza Mazzetti.
Perché oggi la gente dovrebbe interessarsi al personaggio di Lorenza Mazzetti?
La vita di Lorenza Mazzetti contiene delle opere ma è essa stessa una grande opera. È un piccolo capolavoro di follia, genio, dolori, rinascite che io ho cercato di bloccare secondo l’idea che il cinema serva a fermare in movimento la vita di qualcuno. La sua vita mi è sembrata un mondo e credo che convenga conoscerla perché può essere bello, formativo, spiazzante. È un’esperienza.
Mazzetti parla dell’opera d’arte come qualcosa di non personale. Qual è il suo punto di vista? Qual è stato lo scopo di raccontarla?
Lei diceva «io voglio raccontare questa storia perché il suo senso va oltre se stessa». Quando ho conosciuto Lorenza in radio ho pensato la stessa cosa. È stato difficile trovare un registro, un modo per raccontarla, i suoi quadri ci hanno aiutato a capire che era una vera fiaba, nel senso nobilissimo del termine. Una fiaba è allo stesso tempo quella storia particolare e una storia universale. In una fiaba ci sono gli orchi, quei mostri che siamo noi esseri umani, e gli aiutanti magici; Lorenza diceva che senza le persone che hanno riconosciuto il suo valore, nella vita avrebbe fatto ben poco. Poi raccontava sempre di sentirsi vicina alla favola de Il principe e il povero per aver avuto quel tipo di fortuna. Le favole sono miti, sono vere e false, storie inventate da qualcuno ma che diventano tradizioni e altro. Io credo che Lorenza si collochi in quel territorio lì e ho cercato di raccontarla così, con quello spirito un po’ favoloso.
Quanto all’estetica fiabesca, la scelta di utilizzare la stop motion sta anche, come diceva prima, nel voler fermare la vita in movimento? E inoltre a rappresentare la compresenza di tragedia e favola nella vita di Mazzetti?
Un film si fa in tanti. Oltre a noi due registi, la direttrice della fotografia Martina Cocco è stata fondamentale, così come l’animatrice Fiammetta Horvat con cui abbiamo lavorato a lungo per capire quale stile fosse più adatto per trasmettere l’idea del mondo fiabesco dell’infanzia. Siamo arrivati alla stop motion per prove ed errori, cercando quel registro infantile presente nei quadri di Lorenza che ne raccontano la vita. Essendo una piccola produzione, chiaramente non potevamo puntare al 3D della Pixar ma avremmo potuto utilizzare di più il digitale. L’idea invece era di rimanere su qualcosa di concreto per poi ripulirlo digitalmente. Quanto al voler stoppare la vita in movimento, finora non ci avevo pensato ma forse l’idea è venuta anche per quello. L’obiettivo principale per me e l’animatrice era trovare un registro visivo che rispettasse lo spirito di Lorenza e secondo me la stop motion le si addice più di altro.
Secondo lei, quanto effettivamente Malcolm McDowell e Bernardo Bertolucci sono stati influenzati da Lorenza Mazzetti?
Influenzati forse è troppo. Io penso che entrambi, prima di tutto, le volessero bene, un bene fatto di stima e di sorpresa. Quindi, pur non essendo stati influenzati direttamente nel loro cinema, forse riconoscevano in questo strano “esserino” una figura a sé stante che ha fatto un cinema veramente personale, inventandolo da sé. Entrambi erano contenti di parlare di lei e che se ne parlasse.
Quanto è difficile per un regista trovare la chiave giusta per entrare nella sfera più intima di una figura âgée?
Lorenza è stata una continua sorpresa perché ogni volta che tornavamo nei luoghi di famiglia uscivano cose nuove da raccontare: una foto, un luogo, una battuta. La sua memoria era cristallizzata ma insieme vivacissima. Lorenza era caotica e vitale, una âgée un po’ strana.
Nel film dice che è un’eterna ragazzina.
Sì, Lorenza era come una bambina molto capricciosa, abbiamo litigato varie volte sul set, prendendoci persino a parolacce. Lei aveva un carattere forte e si arrabbiava spesso ma dopo dieci minuti si dimenticava già tutto, come i bambini.
Come è stato realizzato l’episodio dell’incontro al cimitero della Badiuzza?
Innanzitutto quell’episodio è totalmente casuale. Era il 25 aprile, il giorno della consegna alle sorelle Mazzetti della cittadinanza onoraria di Rignano sull’Arno. Lorenza rifletteva ad alta voce come faceva spesso e poi le si avvicinò quel signore. Io indietreggiai e tirai con me il fonico per non finire in campo. Quel signore era molto caloroso, contento di quell’incontro importante. La villa degli Einstein fu sequestrata per tre mesi dai tedeschi che la usarono come base nazista. In quel piccolo comune la storia è molto conosciuta. Ora Lorenza è sepolta proprio in quel cimitero.
L’inserimento della sorella Paola nel documentario è stato spontaneo o frutto di una scelta ben precisa?
Una scelta molto precisa, ma che all’inizio non funzionava perché Paola è molto schiva e non voleva comparire nel film. Il tema del doppio è fondamentale nella loro vita se si pensa che da adolescenti non solo si scambiavano i ruoli, ma andavano in giro vestite una da uomo e l’altra da donna, fingendosi una coppia. A fine film David Grieco ci ringraziò per essere riusciti a far esistere Paola che è importantissima nella storia di Lorenza e quindi necessaria per farci capire meglio il suo mondo.
Quanto è stato difficile fare una cernita del materiale girato?
Io credo che un documentario si faccia tre volte: quando lo scrivi, quando lo giri e quando lo monti. E ogni volta non dico che ricominci da capo, ma quasi. Per me la regola è che vince la storia, ovvero quello che serve a raccontare al meglio la persona. Ci sono cose che ti piacciono ma poi non funzionano nell’insieme, quindi nei sei giorni di riprese molto girato è rimasto tagliato fuori.
Qual è l’eredità che Lorenza Mazzetti ha lasciato alle future generazioni?
Lorenza diceva sempre che «quello che ci succede dipende da noi». Questa frase mi risuonava continuamente in testa durante la lavorazione del film e per me se c’è un lascito è questo.
