E’ frequente incontrare persone che lamentano un malessere rispetto al proprio comportamento eccessivamente compiacente e che riferiscono di non riuscire ad arginare le richieste degli altri, sia nelle relazioni di lavoro che in quelle amicali e affettive.
Approfondendo un poco tale disagio spesso emerge una bassa autostima. Accondiscendere agli altri in un primo momento può rappresentare una soluzione nella gestione della tensione emotiva e nell’evitare il senso di colpa, ma con il trascorrere del tempo il rischio di perpetuare tale comportamento è quello di perdere il senso di sé.
Il bisogno di essere accettati dagli altri può nascondere spesso la paura di essere rifiutati, emarginati e isolati ma il costo di tale paura diviene una vita inautentica, in cui l’aderire alle aspettative dell’altro conduce a recitare una parte, ad indossare una maschera, come dei personaggi in una rappresentazione teatrale, con ruoli non autentici. L’impossibilità a mettere un confine alle richieste esterne può divenire problematica e fonte di malessere: la soddisfazione dei bisogni degli altri si realizza a scapito dei propri e può far scaturire un profondo senso di frustrazione e rabbia, un senso di ingiustizia, e di carico eccessivo; quando poi accade che il senso di identità si fonda falsamente sull’accondiscendenza ai bisogni e desideri altrui invece che sull’accoglienza dei propri, si può sentire un pesante senso di inutilità soggettivo, di non esistenza.
Spesso il comportamento compiacente, che rende impossibile dire di “no” e che nasconde il bisogno di accettazione e vicinanza con l’altro, conduce invece a una sensazione di solitudine e profonda distanza; infatti è proprio quando siamo in una relazione di intima autenticità che stabiliamo un reale contatto con l’altro
Il termine falso sé, che in gergo tecnico sintetizza i concetti sopra esposti, è stato teorizzato dello psicoanalista Donald Winnicott e si riferisce a una modalità patologica di sviluppo dell’identità che origina nei primissimi stati dello sviluppo infantile. Quando, nella relazione tra madre (o figura di accudimento) e bambino, l’adulto è disponibile, recettivo e responsivo in modo discontinuo e incoerente, giacché si trova lui stesso in uno stato di difficoltà psicologica, può manifestare atteggiamenti emotivamente invasivi: come abbracciare improvvisamente il bambino, che sta giocando tranquillamente da solo, iniziare a ricoprirlo di carezze e di baci, invadendo, senza alcun preavviso, il suo stato di concentrazione precedente.
L’adulto allora entra nella relazione con una modalità che non corrisponde ai segnali inviati dal bambino, seguendo le proprie emozioni e i propri bisogni, che interferiscono a tal punto da impedire al bambino la percezione chiara e autentica delle proprie emozioni e bisogni. Questo tipo di relazione rende il bambino incerto e confuso, poiché per lui diviene impossibile prevedere se le sue emozioni ed esigenze saranno comprese e soddisfatte. La confusione deriva inoltre dall’essere costantemente anticipato e ridefinito nei suoi stati interni dall’adulto.
Questo tipo di relazione può sviluppare un senso pervasivo d’inaffidabilità /incapacità nel riconoscere il fluire dei propri stati interni, dando luogo a un senso di sé vago e indefinito. Il bambino non riesce a far affidamento sulle proprie emozioni e sentimenti per sapere come sta e dare senso e significato alla realtà; apprende invece a fondare il proprio senso d’identità nell’assecondare le richieste altrui. Il senso di vaghezza di sé che ne deriva lo conduce necessariamente a riferirsi agli altri, quindi ad accondiscendere alle richieste esterne, per ricavare un senso di sé stabile e definito.
Durante il periodo infantile questo sarà molto probabilmente un bambino decritto come bravo e che fa tutto ciò che gli è richiesto, un bambino che non da problemi. Spesso tale maturità esternata nei comportamenti “da piccolo adulto” nasconde un’incapacità di affidarsi al proprio mondo interno fatto di emozioni, di sensazioni e di bisogni; il suo comportamento “da adulto” è invece un’imitazione di quello dei grandi, che tende a mettere in atto in modo passivo e compiacente. Ciò può portare a vivere le relazioni affettive in modo non autentico e limitato, poiché non è possibile condividere il sé autentico.
Gli aspetti di tale malessere sono rappresentati da:
- Difficoltà ad essere se stessi
- Perdita del senso profondo della propria identità
- Disconoscimento delle proprie emozioni e tentativo di controllo assoluto su di esse
- Assenza di spontaneità e la mancanza di fiducia nei rapporti affettivi
- Dipendenza dal giudizio degli altri
- Senso di vergona e insicurezza
La messa in discussione del Falso sé avviene quando la sofferenza diviene intollerabile e s’inizia allora a cercare un aiuto. La struttura del falso sé viene messa in discussione e la persona comincia a divenire consapevole dell’inadeguatezza dell’immagine che è solita presentare agli altri: può allora sopraggiungere uno stato depressivo, dovuto al contatto con una dimensione più autentica di sé, vulnerabile e carica di emotività, disconosciuta e fino ad ora nascosta.
Nel trattamento delle problematiche connesse ai vissuti del “falso sé” non c’è un approccio terapeutico univoco. E’ importante accompagnare il cliente in un percorso di esplorazione e consapevolezza del proprio personale funzionamento. Come in tutte le terapie è fondamentale costruire una relazione empatica e collaborativa, fondata su un’alleanza terapeutica stabile.
Gli interventi devono essere particolarmente ben calibrati, allo scopo di non attivare vissuti di invadenza, che possano ricalcare quelli già esperiti (come ad esempio nella relazione con le figure di accudimento); è importante inoltre accompagnare il cliente nel confronto con i suoi vissuti di frustrazione, in modo da evidenziare il contrasto tra il vero sé e la personalità inautentica, di cui il senso di frustrazione è l’espressione concreta percepita nei diversi contesti, e quanta energia richieda dare spazio alla parte inautentica, in termini di gestione della rabbia e di carico eccessivo. L’obiettivo è sviluppare un senso d’individualità/autenticità e autonomia, funzionale al raggiungimento di un efficace demarcazione e definizione rispetto agli altri.
BIBLIOGRAFIA
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Winnicott, D.W., (1965) trad.it. Sviluppo affettivo e ambiente, Roma Armando, 1968
Rita Ciocchetti – Psicologi in ascolto
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