Ius soli, una legge contro il pregiudizio

Immaginate di essere nati in Italia, a Roma per esempio, e di rischiare di perdere il diritto a vivere in un Paese che amate, soltanto per alcuni cavilli burocratici. Sembra incredibile? Eppure, quando si è di origine straniera e si vive in un determinato Paese da molti anni, non è detto che la macchina burocratica contempli le necessità e i sentimenti che ci legano a esso. E non sono poche le storie che riguardano ragazze e ragazzi cresciuti o nati in Italia a farne le spese. Il tutto accade su di un filo molto fragile e a dir poco invisibile, che inanella diversi pregiudizi culturali, retti da concetti come il tasso di italianità” e il quanto ci si senta italiani. Ma chi può dire quanto sia italiana una persona? Ce lo spiega Alice, ragazza di Ferrara, che su www.italiasonoancheio.it racconta tutta la complessità di un intricato problema di fondo, che potrebbe essere risolto con la promulgazione di una legge di Ius Soli vera e propria, che riconosca la cittadinanza a tutti i nativi italiani, indistintamente. 

«Quanti punti di italianità mi dà il fatto che a casa mia si festeggi il Natale con i tortellini? Ma quanti punti poi mi toglie il fatto che attorno al tavolo ci sia seduto non solo un inglese, mio padre, ma pure un cinese, mio zio… del resto, mentre si mangia, si parla solo italiano perché questa è la lingua che tutti capiamo, e mio zio è in realtà cittadino italiano. Dal punto di vista burocratico, l’unico straniero a quel tavolo è mio padre. Che però mangia più tortellini di mia madre (cittadina italiana con genitori italiani e nonni italiani). Mi confondo sempre, quando si utilizza la parola cultura – cosa si intende per “cultura italiana”? Cantare l’inno? Essere bianchi? Andare in chiesa? Parlare italiano? Pagare le tasse? Non pagarle? Avere la madre casalinga? Avere la madre lavoratrice? Essere cattolici o almeno cristiani o, a seconda del momento storico, pure ebrei o pure atei, ma comunque non musulmani? Essere italiani vuol dire non essere musulmani? Mangiare i tortellini vale? Essere precari? Mammoni? Mafiosi?» 

Secondo l’ISTAT «la popolazione straniera in Italia è di oltre 5 milioni di persone, e per circa il 20% è composta da minorenni. Stranieri che molto spesso sono nati nel nostro Paese e sono pienamente inseriti nei percorsi scolastici: parlano la nostra lingua, frequentano le scuole italiane, condividono giochi e passioni con gli studenti italiani. Possono dirsi davvero stranieri?» 

Questo interrogativo potrebbe trovare una risposta nelle istituzioni, come da anni a gran voce chiedono le seconde generazioni, e non solo. Una parte del mondo politico, della Chiesa e dell’associazionismo si è unito alla richiesta di modifica della legge sulla cittadinanza per i nati nel Belpaese o arrivati da piccoli da genitori stranieri. 

Sul sito del Ministero dellInterno è possibile trovare informazioni sulla regolamentazione del diritto di cittadinanza che si traduce in queste poche righe: «il termine cittadinanza indica il rapporto tra un individuo e lo Stato, ed è in particolare uno status, denominato civitatis, al quale lordinamento giuridico ricollega la pienezza dei diritti civili e politici». Esiste una possibilità residuale di acquisto iure soli, se si nasce sul territorio italiano da genitori apolidi o se i genitori sono ignoti o non possono trasmettere la propria cittadinanza al figlio secondo la legge dello Stato di provenienza. La legge però non è uguale ovunque. In Paesi come Olanda, Gran Bretagna, Belgio, Francia, Spagna, Germania e Portogallo vige, invece, lo Ius Soli temperato dove, oltre a essere nativi, per la cittadinanza è necessario avere almeno un genitore che risieda lì da almeno 5-10 anni. Mentre in base a uno studio pubblicato nel 2018 da Global Citizenship Observatory, in Paesi come gli Stati Uniti e il Pakistan vige lo Ius Soli vero e proprio. Basterebbe una semplice modifica della legge per dare a giovani come Alice la tranquillità di sentirsi quello che sono: figli dellItalia che li ha visti nascere e crescere.

Khaby Lame, tiktoker italiano 

«La cittadinanza? No, non ce l’ho. Mi dispiace tanto. Non è giusto. Per esempio, per questo viaggio negli Stati Uniti è tutto difficile, anche ottenere il visto. Eppure mi hanno invitato come italiano, andrò a Los Angeles come italiano, perché io sono italiano. L’altro giorno il mio video era sui megaschermi di Tokyo e sotto c’era scritto: tiktoker italiano.» 

Queste sono le parole di Khabane Lame, ventunenne di origine senegalese, riferendosi a un viaggio di lavoro. Khaby è diventato famoso sulla piattaforma social TikTok, grazie alla pubblicazione di video comici molto semplici e parodistici, raggiungendo 50 milioni di follower in poche settimane. La sua storia rappresenta appieno la contraddizione della legge sul diritto di cittadinanza in Italia, poiché, pur vivendoci da quando aveva un anno, non gli è ancora stata riconosciuta. 

 

 

 

Foto in basso di Solen Feyissa | cc license