Attività di inclusione e riabilitazione nelle RSA

Le  residenze sanitarie assistenziali (RSA), secondo le linee guida del Ministero della Sanità, sono strutture adibite ad ospitare persone non autosufficienti e affette da patologie croniche, che necessitano di un’assistenza sanitaria che, per vari motivi, non può essere assicurata presso il proprio domicilio. Le RSA, che possono essere pubbliche, private convenzionate o private, hanno iniziato a svilupparsi in Italia negli anni ’90 ma il loro numero ha indubbiamente subito un incremento esponenziale: basti pensare che nel 2007 in Italia se ne contavano 2475, mentre ad oggi sono ben 4629, di cui circa la metà al Nord.  

Durante la pandemia di COVID-19, molte RSA non hanno rispettato i protocolli di sicurezza o, come deciso da diversi enti regionali allo scopo di liberare posti letto nelle strutture ospedaliere, sono state luogo di quarantena per molti pazienti con sintomatologia attribuibile al COVID, causando purtroppo l’esplosione di focolai di contagio e la morte di circa 7000 anziani in soli due mesi.  

Il boom delle RSA negli ultimi dieci anni solleva diverse riflessioni: sicuramente l’aumento dell’aspettativa di vita accresce inevitabilmente l’incidenza di patologie caratteristiche dell’invecchiamento che possono essere di non facile gestione da parte dei familiari.  

Nel gennaio 1992 il Parlamento ha approvato il Progetto Obiettivo Anziani, con lo scopo di strutturare l’intervento assistenziale nelle RSA, che doveva essere “…finalizzato a fornireaccoglienza ed erogazione di prestazioni sanitarie, assistenziali, di recupero funzionale e sociale. Ad oggi, all’interno delle RSA è prevista la presenza di un’equipe composta da varie figure professionali e lo sviluppo di un Piano Assistenziale Individualizzato per promuovere il mantenimento dell’autonomia della persona nelle attività della vita quotidiana.  

Negli ultimi anni sempre più persone con patologie neurodegenerative, come la Malattia di Alzheimer e altre forme di demenza, vengono ospitate nelle RSA. Le malattie neurodegenerative compromettono le funzioni cognitive come memoria, ragionamento, linguaggio e attenzione, funzioni che secondo le teorie delle neuroscienze trovano il loro correlato neurobiologico a livello delle aree cerebrali corticali e associative. Con il progredire della compromissione cognitiva, subentra una graduale perdita dell’autonomia personale e delle funzioni più elementari e ciò può favorire un interessante spunto di riflessione su quali attività riabilitative potrebbero essere potenziate e incentivate all’interno di queste strutture.  

Nel momento in cui una persona viene introdotta in RSA, la perdita di punti di riferimento, come il proprio ambiente familiare che aiuta la persona con demenza a mantenere una sorta di ancoraggio alla sua storia di vita, p accelerare il processo di deterioramento cognitivo. Il distacco dal proprio ambiente può inoltre comportare dei vissuti di ansia e depressione che vanno ascoltati ed accolti tenendo conto delle modalità con cui la persona li manifesta che, in situazioni di demenza, possono assumere aspetti differenti. Ai disturbi cognitivi possono inoltre associarsi disturbi comportamentali (non necessariamente nelle fasi terminali della malattia) come apatia, depressione, deliri e allucinazioni che rappresentano per le famiglie uno degli aspetti più complessi da gestire.  

Gli interventi riabilitativi rivolti alle persone in RSA, effettuati da figure professionali tra cui psicologi e neuropsicologi, vanno calibrati e adattati alla persona e non possono prescindere dall’aspetto relazionale e dall’attenzione alla persona nella sua unicità. Questi interventi, che possono essere svolti anche in gruppo, si basano su procedure di stimolazione cognitiva validate scientificamente che vanno adattate alle capacità cognitive dei destinatari e che, a seconda del fine che si prefiggono, si concentrano su alcune funzioni cognitive piuttosto che su altre.   

La ROT (Terapia di riorientamento alla realtà), ad esempio, promuove attraverso degli esercizi specifici la capacità della persona di muoversi e orientarsi nella quotidianità, sollecitando le stesse strategie mnesiche; gli esercizi di orientamento temporale sono finalizzati al riorientamento della persona che può perdere ogni riferimento temporale (giorno, stagione, anno); l’utilizzo di fotografie e la rievocazione di eventi di vita promuovono l’integrazione di esperienze passate (che possono permanere, rispetto agli eventi recenti di cui la traccia mnesica svanisce rapidamente) con quelle presenti nella storia di vita della persona.  

L’intervento va naturalmente modulato ed adattato sulla base delle capacità cognitive dei destinatari, ma soprattutto è importante che la persona sia coinvolta emotivamente e sia aiutata a trovare un senso in quello che sta facendo. Ecco perché l’intervento è tanto più efficace quanto più tiene conto della storia di vita delle persone.  

Nei casi di deterioramento cognitivo severo, quando la componente comportamentale di apatia e disinteresse verso l’ambiente esterno può associarsi in modo così impattante da rendere impossibile la partecipazione della persona ad interventi di stimolazione cognitiva, si rivelano molto più utili interventi che toccano quelle corde profonde e primordiali che secondo le neuroscienze trovano il loro correlato neurobiologico nella parte cerebrale più profonda di noi, responsiva fino alle fasi terminali delle malattie neurodegenerative: la Doll Therapy (terapia della bambola) e gli Interventi Assistiti con gli Animali (Pet Therapy) si rivelano estremamente efficaci nel promuovere la capacità di accudimento, di empatia e condivisione.  

In particolare gli interventi assistiti con gli animali possono essere svolti portando direttamente l’animale (generalmente il cane, ma in alcuni casi è stato possibile condurre addirittura asini!) nelle RSA e lavorando sugli aspetti comunicativo-relazionali, migliorando la capacità di relazione degli ospiti. L’interazione con l’animale, attraverso la stimolazione sensoriale del tatto e della vista, è in grado di migliorare l’umore, di promuovere una reattività e una motilità finalizzata al gioco e al contatto con l’animale, contrariamente a un esercizio motorio fine a se stesso, in cui il paziente può non trovare alcuna motivazione. L’interazione con l’animale inoltre apporta benefici fisiologici, come riduzione del battito cardiaco, della pressione arteriosa e della tensione muscolare. 

Sulla stessa linea della Doll Therapy (dove però l’essere di cui prendersi cura è una bambola), il prendersi cura di un essere vivente ha la capacità di accrescere la propria autostima e sentirsi gratificato, diventando spesso un appuntamento estremamente motivante e atteso per gli ospiti delle RSA.  

Un intervento parallelo, non sempre contemplato e non direttamente rivolto agli ospiti delle RSA, potrebbe essere quello rivolto ai familiari delle persone in RSA. Sarebbe auspicabile prevedere uno spazio di ascolto dedicato ai familiari per facilitare il modo in cui si relazionano con il loro caro, modalità che può risentire di vissuti emotivi personali quali senso di colpa, di incapacità e tendenza ad allontanarsi da situazioni vissute come poco gestibili da un punto di vista emotivo. 

 

Sara Gaudenzi