“Una così lunga lettera” di Mariama Bâ

Una finestra sulla società e sulla cultura Senegalese.

Durante la lettura del romanzo “Una così lunga lettera” (Giovane Africa Edizioni), di Mariama Bâ, non posso dire di avere soltanto aperto e sfogliato un libro, ma anche una finestra emozionale da cui scorgere e sentire diverse realtà del Senegal post-coloniale. Una sensazione resa possibile dalle evidenti capacità di osservazione empatica profonda e di narrazione stratificata dell’autrice, che privilegiano ed espongono le contraddizioni e le vulnerabilità dell’essere umano. 

Un libro pubblicato nel 1979, attraverso la cui lettura, traspare il chiaro riflesso del vissuto e delle esperienze di Mariama, che affronta argomenti delicati come; la poligamia, la maternità, l’istruzione, la politica e la condizione delle donne in Senegal, mantenendo lo spirito critico e di denuncia, rinunciando però ad ogni interpretazione moralistica, andando ben oltre una visione in bianco e nero. 

La sfaccettatura del racconto, è resa possibile anche grazie alla natura epistolare del romanzo, che vede la protagonista, Ramatoulaye, scrivere alla sua amica, Aissatou, in un momento significativo e drammatico come il recente decesso di suo marito, partendo dal primo dei canonici quaranta giorni di lutto. 

Perdendosi tra le numerose lettere inviate da Ramatoulaye, si viene assorbiti in flusso poliedrico di emozioni, storie e  vissuti, che la protagonista ripercorre ed elabora, allo scopo di fare un punto e di trovare, ora, la sua indipendenza e quella dei suoi figli.  

Un espediente narrativo che si rivela efficace nell’affrontare i vari aspetti sociali e culturali del Senegal, che, missiva dopo missiva, riesce a far comporre al lettore, un puzzle minuziosamente creato, senza trascurare momenti di profonda introspezione, utilizzando un tono naturale ed umano. 

In questo modo, Mariama ci proietta nelle dinamiche familiari, le quali affondano le proprie radici nelle tradizioni, trasmesse da generazione in generazione, con ampie fondamenta di effettiva disparità tra la sfera maschile e quella femminile. Come la possibilità di diventare una “co-moglie”, proprio com’è accaduto a Ramatoulaye, la quale, dopo anni di matrimonio, si è ritrovata sola in una delle case del facoltoso marito Modou, quella casa un tempo loro tetto coniugale.  

Una moglie “sostituita” da una compagna molto più giovane e amica della loro stessa figlia, dettaglio che permette di dipanare anche i rapporti genitoriali e profondamente intimi nel loro complesso.  

La poligamia si afferma dunque come il fulcro del suo racconto, che permette di sorreggere e denunciare tutte le tematiche correlate e collaterali, principalmente il ruolo della donna nella società e quindi nella politica, il non incoraggiamento negli studi e la lotta dei movimenti femministi, di cui anche Ramatoulaye fa parte.  

Seppur reduce di queste esperienze, Ramatoulaye sentirà ancora l’amore che ha provato per il marito, ricordandosi di quando erano solo loro due, insieme. Una visione paradossale inevitabile e profonda, propria dell’animo umano, non nascosta nella sua narrazione, che mantiene una dualità in tutto il romanzo. 

Un romanzo in grado di offrire anche una doppia lettura per spunti e parallelismi riguardo la storia italiana attuale e passata, oltre a riflessioni riguardanti la nostra cultura attuale, dove spesso si hanno, inevitabilmente, visioni stereotipate o polarizzate dell’Africa e dei nostri più prossimi vicini Africani.  

Il testo è stato come un faro, che ha illuminato alcuni punti di congiunzione tra culture lontane, in grado di avvicinarle, connettendoci con le nostre emozioni e i nostri vissuti, a volte importanti apripista per una visione ed una comprensione maggiore di noi stessi e quindi degli altri, grazie alla splendida intessitura che Mariama ci ha donato.