Le spezie e la cucina di popoli lontani

Integrazione culinaria o mode alimentari? 

Sulle nostre tavole si servono piatti della tradizione italiana, frutto di secoli di contaminazione con altre culture, usando prodotti amalgamati sapientemente da massaie e cuochi. Abbiamo integrato in cucina spezie che provengono da terre lontane e divenute nel tempo elementi fondamentali del mangiare italiano, come il pepe, il principe di molte ricette della nostra tradizione. Grazie a secolari scambi culturali e commerciali con il vecchio Oriente e il nuovo Occidente, abbiamo integrato altre spezie come vaniglia, coriandolo, chiodi di garofano e zenzero. Molte, oltre all’uso alimentare, spesso vengono adoperate per le loro proprietà curative, come per esempio la curcuma. Di quest’ultima, in particolare negli ultimi anni, molti ne apprezzano le proprietà antinfiammatorie, mediante l’uso di pastiglie o tisane, mentre in cucina è impiegata per togliere l’acidità dalla salsa di pomodoro. 

Parimenti all’uso che si fa di tante spezie, una costante abitudine del nostro quotidiano è diventata la cucina di popoli lontani. Le loro tradizioni sono ora le nostre curiosità culinarie per l’“esotico” o l’ “etnico”, da soddisfare a ogni ora e in ogni giorno a noi graditi, parte integrante del modo occidentale di vivere l’alimentazione e la cucina. Ci capita spesso di consumare cibi thailandesi, giapponesi, arabi, africani o sudamericani. Ma abbiamo realmente integrato con consapevolezza queste tradizioni lontane nella nostra quotidianità? O si tratta di semplici mode passeggere, ignare delle culture di origine di determinate ricette? Per esempio, alcuni di noi ordinano cinese che poi mangiano secondo il nostro modo di gustare il cibo, ovvero con la forchetta al posto delle tradizionali kuàizi (le bacchette).

Prepariamo piatti speziati, ma la lamentela dell’odore di cucina etnica nelle scale dei condomini è frequente, motivo di non poche liti. Sarebbe pertanto utile chiedersi se siamo capaci di integrare nelle nostre vite piatti e tradizioni di differenti culture o se siamo mossi solo da un’effimera curiosità? La domanda occorre porsela di pari passo con l’interrogativo legato alla capacità del corpo sociale di integrare altre culture. Si tratta di capire se siamo realmente aperti all’altro, considerando il cibo come strumento di dialogo, o spinti solo da un mero interesse del palato. Per chiarezza, mi sento di ricorrere all’esempio più risaltato dalle cronache, specie della vicina Francia: nelle grandi metropoli occidentali, capita di acquistare nei mercati arabi, senza conoscerne le tradizioni, non considerando le gestualità e le ritualità di quella cultura, come l’importanza per le donne mussulmane di indossare l’hijab, il chador o il niqab, per gli occidentali considerati lesivi della libertà. Senza entrare nelle inevitabili polemiche provocate dalla cronaca, è necessario conoscere a fondo una determinata cultura che a noi si presenta con il biglietto da visita di un certo piatto o prodotto.   

Per ricondurre il discorso alla cucina, tra le tante spezie provenienti da oriente, la cannella trova spazio in numerosi dolci di differenti tradizioni regionali, come aroma per panna, cioccolata, mele, biscotti, creme e gelati. Originaria dello Sri Lanka, da noi è usata prevalentemente in pasticceria e nella produzione di liquori, nelle culture di origine viene impiegata anche per accompagnare carni affumicate. Si presenta in bastoncini ed è ricavata da piccoli rami decorticati di una pianta sempreverde, è reperibile in commercio in polvere. Alla cannella sono riconosciute proprietà medicamentose, motivo del crescente interesse per questa spezia orientale. Ma ciò che accomuna tutte le culture è il suo utilizzo per aromatizzare tè e tisane. Dopo tutte queste suggestioni, frutto della già citata contaminazione, è mio auspicio che tramite il cibo si possa alimentare un dialogo tra i popoli, inteso come ascolto delle altre culture, teso alla costruzione di società più inclusive e aperte. 

 

Sonia Gioia 

 

Foto di Timothy Newman | cc license