Un’immersione nelle campagne salentine
Sulle nostre tavole abbiamo un ingrediente a cui nessuno può rinunciare, l’ingrediente che crudo condisce le insalate e cotto imbiondisce cipolle, soffrigge agli e tosta il riso: l’olio! Nei secoli abbiamo imparato a estrarre l’olio da diversi semi e in ognuno ci sono delle proprietà utili all’organismo umano. Oggi però ci concentreremo sul re degli oli: l’olio d’oliva.
Classificazione
Extravergine o EVO: si ottiene tramite l’estrazione con metodi meccanici. Il suo livello di acidità non supera lo 0,8. Vergine: si ottiene sempre con metodi meccanici ma il suo livello di acidità è superiore a quello EVO. Ci sono altre categorie di olio d’oliva, ma non riguardano l’alimentazione. L’elenco completo lo troviamo qui.
L’olio: tradizione nelle famiglie del basso Salento
Quando mi sono trasferita in Salento si è aperto un mondo a me totalmente sconosciuto. Non mi ero mai chiesta come si ottenesse l’olio fino a quando non sono andata a fare una piccola gita nelle campagne dei miei suoceri. Paesaggi mozzafiato con terra rossa, muretti a secco, trulli e alberi enormi dalle chiome vivide, appesantite da frutti verdi, e tronchi talmente ampi che per abbracciarne uno non bastavano due persone. La prima volta, presa dall’entusiasmo staccai un’oliva dall’albero, ma mia suocera non ebbe il tempo di spiegarmi che non erano quelle le olive da poter mangiare appena raccolte. Così conobbi le “mature” che hanno un grado di maturazione avanzato e che si possono mangiare direttamente sul campo, magari accompagnandole con un pezzo di pane e un bicchiere di vino. Quelle raccolte per l’olio invece hanno un sapore amaro, come quella che mangiai quella volta! Purtroppo la Xylella, da dieci anni a questa parte, ha velocemente devastato quei paesaggi e con essi gli alberi, mettendo a rischio l’economia e la tradizione già contaminata dalle macchine e da una vita frenetica. Posso ritenermi fortunata per aver potuto ammirare e partecipare alla raccolta delle olive, ma è capitato solo per due annate. La prima molto faticosa perché gli alberi erano carichi, la seconda, come da ciclicità del raccolto, più scarsa.
Un ricordo dal profumo di terra
«Tocca ne zzamu mprima cu scia cuglimu ulie crammane» mi disse mia suocera una sera a tavola, ovvero «dobbiamo alzarci presto per andare a raccogliere le olive domani mattina». L’aria di novembre era frizzante ma il sole avrebbe presto scaldato ogni cosa attorno a noi. Notai una particolare situazione sotto a ogni albero: la zona che comprendeva l’apertura della chioma era completamente ripulita da foglie e rametti, mio marito le chiamò “aree” dicendo che venivano pulite per rendere più semplice la raccolta delle olive. Si faceva subito dopo la fine dell’estate con rastrelli ed enormi scope di paglia. Appena arrivati di fronte al primo albero mio suocero spiegò come, per evitare che le olive si sporcassero a contatto con la terra, bisognasse stendere dei teli o delle reti attorno agli alberi, sui quali poi sarebbero cadute le olive che avremmo tolto dai rami con l’aiuto di rastrelli, “manette”, usate come pettini. Quando si finiva un albero si toglievano le olive dal telo per metterle in delle casse. Lì, con l’aiuto di grandi setacci, “farnari”, si separavano le olive dalle foglie. Successivamente veniva usato un setaccio più piccolo per togliere residui di terra, rami e pietruzze che potevano trovarsi sui teli, inevitabilmente sporchi a causa del via vai sotto le chiome. A quel punto le olive erano pronte per essere spremute al frantoio, “molitura”, e l’attesa per il “verdetto” che rivelava la pesa e il livello di acidità era tanta. Poi l’olio veniva messo in dei barili “comitu” e lasciato riposare. L’assaggio dell’olio nuovo era un rito che amavo poco a causa del suo sapore intenso e pungente, da quell’esperienza, tra grande perplessità di tutti, ho imparato che personalmente preferisco l’olio dell’annata precedente. E da quella prima volta i miei suoceri mi hanno sempre tenuto da parte dell’olio “vecchio”.
L’olio d’oliva per me non rappresenta solo un patrimonio culturale immateriale dell’umanità, fondamento della “dieta mediterranea”, ma è anche e soprattutto un bel ricordo di tempi che purtroppo non torneranno più. Da questa mia esperienza a contatto con il mondo dell’olio d’oliva ho imparato a controllare sempre l’etichetta e il colore, per scegliere, anche al supermercato, un buon condimento per le pietanze della mia cucina.
Sonia Gioia