Il Verano – Giulia Ventura
Le piccole luci fioche dei ceri attraversano le cinta di mura spesse, immobili, fredde e silenziose.
Ed io le guardo,
Colpita, da tanti piccoli spiritelli in movimento che si sciolgono nel silenzio delle tombe fino a diventar deserti in fiamme, bruciati, spenti e logori.
Spenti e Logori.
Cammino, Cammino, Cammino.
Seguo i piccoli barlumi caldi facendomi guidare da loro,
le vere padrone e regine del silenzio e del dolore.
Abbracciano i pianti dei vivi soffocandolo, rendendolo muto, privo di suono.
Ah beata Pace mortuaria!
Via tiburtina
Cammino, Cammino, Cammino ancora.
La pancia si gonfia e sento che si muove.
Si, lo sento, sta scalciando.
Si, lo sento, sta respirando.
Si, lo sento, sta amandomi.
Seguo la scia dei lumi, scia di vecchie storie, scia razionale.
Mi perdo tra lastre di cemento ricolme di cenere e polvere.
Ë lui.
Vuole nascere, lo sento.
Sono eccitata e bagnata immaginando di partorire.
Scivola la vita via da me.
Creo il perfetto,
Creo il divino.
Il divino e il perfetto viene creato attraverso me.
Tocco la pancia, la carezzo debolmente mentre le mani síallegrano di gioia,
tamburellano di cuore.
Ululo alla vita guardando la luna strabica in mezzo a una citt‡ cimiteriale.
Proprio ora la vita vuole scivolarmi via?
In mezzo a tanta morte e desolazione?
Mi sento parte dellíuniverso, del cerchio della vita.
Piango di felicit‡ in mezzo alle mie radici, al legno, ai vermi, alla merda, alla morte, al nuovo nascituro.
Piango e guardo in faccia la nuda realt‡.
Mi affaccio dalle grate del cimitero.
Mi nascondo tra il barlume fioco dei ceri che di notte tengono compagnia ai nostri fratelli dormienti e la strada di fuori che echeggia di passi e risate e baci.
Mi abbraccio forte la pancia fertile díamore.
Ho una tunica bianca, seta, purezza e morbido affetto di famiglia.
Morbida, liscia e pura.
Morbida bianca e fertile.
Il velo tra i capelli vola via annidandosi su una candela.
Prende fuoco velocemente diventando briciola di gas.
Guardo la candela,
Essa poggiata su una tomba a me particolarmente familiare,
la fisso guardandola attentamente,
Non Ë altro che una cassa muta trafitta da luce cullata da numerosi ceri, che dondola,
dondola in un rituale mistico di perdizione.
Odoro la cassa di cemento,
la lecco e mi spoglio dinnanzi a lei,
Nuda di fronte a lei:
Ballo.
Guardo ancora.
Una foto.
Ë una ragazza dal viso gentile e allegro,
leggero, spensierato e felice ma pur sempre velato da scure sofferenze.
Contrazioni avvenenti.
Pugni allo stomaco.
Mi accascio per terra aprendo le gambe.
Ë un richiamo cosÏ naturale, cosÏ forte.
I dottori le tombe,
le infermiere i cipressi protesi verso líinfinito.
Apro le gambe schizzando fuori un essere viscido e compatto.
Chiudo gli occhi istintivamente di dolore.
Ë per terra,
pieno di polvere,
come un pesce morente che boccheggia,
che piange,
Si contorce, si piega.
Che piange,
boccheggia,
per terra.
Attaccato ancora al mio corpo da una corda palpitante,
emette il suo primo vagito spaurito.
Ë vivo,
Mentre io digrigno i denti morendo in occhi vitrei.
Sta vivendo, lui.
Mi piego con ancora la vita attaccata al mio corpo,cadendo sopra quella lapide a me tanto familiare.
Tocco la scritta marchiata a fuoco,
lentamente,
disegnando cerchi circolari con le dita affusolate, lunghe, ossute,
dita fredde che sfiorano lentamente le lettere, gridando: Aiuto.
Avverto il mio nome ancor prima di capirlo.
Il mio nome,
Il mio nome scritto sopra, tenuto nascosto dalla polvere,
Marchiato a fuoco e tenuto nascosto,
sotto una menzogna di polvere.
Vedo tutto ora.
Ricordo ogni cosa.
O forse non ho mai ricordato.
Immagini nuove, veloci, vecchie, ricordate,vissute, immaginate, lampi di sogni lontani, odori che si mischiano
in un dolce viaggiare verso un nuovo ritorno.
un: Ancora.
Un: Di nuovo.
Abbandono il vecchio corpo a me tanto caro
per abbracciare una nuova nascita.
Abbandono il possesso,
Abbandono líIo voglio.
Perdo la tensione muscolare dellíEgo stesso
e cado in una profonda beatitudine díestasi.
Un lungo e dolce Samadhi.