Il regista polacco dirige un film sperimentale con momenti di cinema puro
Adattamento contemporaneo del film Au hasard Balthazar (1966) di Robert Bresson, EO di Jerzy Skolimowski è un road movie con un asino come protagonista, che vede e subisce il male. Prigioniero, deportato, ovviamente senza diritti, in fondo è solo un animale testimone di come si muove l’ingranaggio del nostro mondo post-moderno, post-umano, di certo diverso dalla natura che ha conosciuto finora.
EO è un film animalista, che inizia con la critica agli stessi animalisti che manifestano contro l’utilizzo degli animali nel circo ma, una volta prelevate queste creature, non si preoccupano di dove vadano a finire. In un primo tempo della pellicola EO si ritrova in una fattoria, dove si pratica la pet teraphy a bambini con disagio mentale. Ma questa sarà solo la tappa iniziale di un viaggio faticoso che testimonia attraverso occhi innocenti e puri la fiera delle atrocità perpetrate dall’essere umano. Come la pallina da tennis in Underworld di DeLillo attraversa l’America, restituendoci uno spaccato letteralmente oggettivo, allo stesso modo EO è testimone di alcuni eventi che vedono l’uomo protagonista di atti più o meno violenti e scriteriati, ma assiste anche alla missione di un medico e all’empatia di un outsider. Insomma, c’è anche speranza nel sentimento di solidarietà.

Impossibile non identificarsi fin da subito con EO, il punto di vista è il suo e quindi vediamo, empatizziamo e sentiamo insieme a lui. La lacrima che scende dal suo occhio quando viene strappato alla sua amorevole e apprensiva padrona è simbolica, perché, se è vero che gli animali non piangono, di certo sono sensibili: soffrono, provano emozioni e comprendono le situazioni. Proprio gli occhi di EO (analogamente al bufalo Sarchiapone in Bella e perduta di Pietro Marcello) vengono continuamente filmati dalla macchina da presa, che li umanizza in una narrazione in cui soprattutto il montaggio, che omaggia il cinema moderno e psicologico, crea delle profonde connessioni coi ricordi, dando risalto al vissuto interiore ed emotivo dell’asinello.
EO è un film sperimentale anche dal punto di vista estetico: sperimentale è la sequenza col drone, che si avvia proprio dallo sguardo di EO alzandosi verso l’orizzonte carminio e sorvolando il fiume e il bosco apparentemente sconfinato. Il rosso su cui si apre la pellicola e che permea intere inquadrature simboleggia, come nel Bergman di Sussurri e grida, il dolore, la sofferenza e, per esteso, il male. Significativa è la sequenza delle pale eoliche che roteano e con loro la macchina da presa compie alcuni giri a 360 gradi, poi a terra inquadra un uccello morto. L’elemento dell’acqua è ricorrente, al tempo stesso portatrice di vita e forza potenzialmente distruttiva; la sequenza verso la fine è un esempio di cinema puro: onde senza forma che generano una schiuma crescente come un lievito fino a permeare lo schermo di un bianco lattiginoso.
Skolimowski dedica un’attenzione maniacale sia all’immagine che al sonoro e alla musica, che contribuiscono a formare un’atmosfera straniante. Divertente il cameo di Isabelle Huppert, che in una sequenza un po’ surreale si prende gioco del personaggio che le è stato cucito attorno.
Co-produzione italo-polacca, EO ha vinto il premio della giuria all’ultimo Festival di Cannes ed è candidato agli Oscar come miglior film straniero. Il regista ha dichiarato: «Mi auguro che il film possa contribuire alla battaglia contro la crudeltà verso gli animali, non dobbiamo trattarli come oggetti ma esseri viventi, sono nostri fratelli».
Voto: 9
