Adolescenza, autolesionismo e autoisolamento

Una riflessione iniziale 

«L’adolescenza non è solo una fase temporale di transizione, ma un agente organizzatore della mente che permette l’accesso all’età adulta e la ristrutturazione dell’identità». 

(Cahn, R. 1986, Psychanalyse adolescense et psychose) 

Parlare di adolescenti in questo momento significa prima di tutto, a mio avviso, pensare al mondo in cui questi ragazzi e queste ragazze stanno crescendo e a quali strumenti hanno avuto accesso per fare esperienza del mondo circostante. 

Sembra quasi scontato, e forse anche retorico, pensare agli adolescenti di oggi come a quelli che trascorrono le proprie giornate davanti allo schermo di un cellulare, sempre in mano, a “scrollare”, come si dice in gergo; oppure persi in uno schermo, dietro a una porta che diventa sempre più difficile da aprire e che li rende, spesso e sempre più, chiusi all’esterno, al reale, e aperti, invece, a un interno che per loro è esterno e reale (tanto quanto), quasi un habitat. 

Quello che si chiedono autrici e autori di settore, e spesso anche molti genitori, è: Come mai? Cosa sta succedendo? Perché una ragazza o un ragazzo dovrebbero chiudersi in uno spazio e non voler avere più contatti con il mondo fuori? 

Come mai molti adolescenti sentono la necessità di ferirsi, tagliarsi, segnare in qualche modo sul proprio corpo l’esistenza o quel momento dell’esistenza?  

Quali sono i sentimenti, gli umori, i vissuti associati alle esperienze quotidiane dei giovani? Come si sentono in un momento come questo? In un momento in cui molte esperienze evolutive sono state circoscritte e controllate da quasi due anni di pandemia, in un momento in cui la solitudine e l’assenza di relazioni, se non quelle familiari, obbligate per certi versi, sono state spesso le uniche a essere presenti e quotidiane.  

In un articolo comparso nel febbraio 2021, a proposito degli atti di autolesionismo che interessavano i giovani ragazzi, lo psicoterapeuta Matteo Lancini (Fondazione Minotauro, Milano) scrive: «Questi atti sono una modalità di lenire il dolore mentale che il vivere da soli chiusi in casa ed in lockdown amplificano. Il tagliarsi, il provocato dolore fisico, per loro diventa un modo per mettere a tacere il dolore della mente. Un dolore che non riescono a contenere: il taglio crea un segno visibile, per quanto assurdo possa sembrare è come se fosse una sorta di automedicazione del danno. Lo osserviamo soprattutto nelle ragazze, mentre i ragazzi spesso ricorrono al cannabinoide che non è più l’espressione della trasgressione o dell’opposizione al padre ma un anestetico al dolore mentale.» 

Ma se pensiamo all’adolescenza come a un “organizzatore della mente” forse possiamo riflettere su quali siano i temi e le novità evolutive alle quali ognuno di loro è chiamato, di fatto, a dover fare fronte. 

Ogni ragazza o ragazzo che si ritrova in questa fase della vita ha un modo proprio di rispondere alle sollecitazioni che vengono dall’esterno e dall’interno e che durante l’adolescenza chiamano in causa vari aspetti: l’integrazione della sessualità e delle nuove trasformazioni corporee; l’individuazione-separazione dal mondo infantile e dalle figure genitoriali; l’integrazione dell’aggressività e la trasformazione dall’azione al pensiero. 

Siamo di fronte a un processo di soggettivazione e cioè un processo continuo dalla nascita alla morte, di appropriazione soggettiva e di autocreazione mediante il quale il soggetto riconosce l’appartenenza dei propri pensieri, atti, desideri, sentimenti, conflitti. (Cahn, 1991). 

Ma c’è anche un dato fisico, biologico che va tenuto bene in mente e cioè che le strutture cerebrali siano anch’esse in formazione. Specifiche aere cerebrali, come quelle che competono il ragionamento logico e spaziale, o quelle collegate con il linguaggio hanno uno sviluppo graduale, e per alcune di loro come l’area dei lobi frontali, responsabile delle funzioni cognitive superiori, la capacità di risolvere problemi e di regolare il comportamento, si può parlare di una evoluzione definitiva se non dopo il ventesimo anno di età. Ci siamo spesso chiesti come mai gli adolescenti non riescano, in alcune situazioni, a fermarsi a riflettere, ma rispondano immediatamente come se ci fosse un bisogno impellente. Una predisposizione a dare risposte comportamentali istintive che è legata all’uso dell’amigdala nel riconoscimento delle emozioni e non della corteccia frontale come accade per i giovani adulti. 

Una modificazione fisiologica e psichica che deve essere integrata anche con il mondo esterno, in particolare con il gruppo dei pari. Non è un caso che è proprio nella fase di passaggio dalle scuole medie alle scuole superiori, quando gli adolescenti sono più vulnerabili, che si creano le condizioni in cui si sentono spesso schiacciati dalle aspettative sia esterne-genitoriali, che interne e da un’immagine di sé che fanno fatica a mantenere e che si allontana dagli standard stabiliti. 

Molto spesso ci sono delle ragazze e dei ragazzi che trovano più facile rinchiudersi in camera, impegnati/assorbiti nelle letture delle ghost stories e che preferiscono non uscire, piuttosto che dover affrontare il gruppo dei coetanei, spesso sentito, percepito come giudicante, dove il vissuto di vergogna e il timore di dire una cosa “sbagliata”, che faccia fare una brutta figura, sono predominanti.  

In altre situazioni sembra più facile invece rimanere dentro, perché il solo modo per uscire è giocare con chi si è conosciuto on line, protetti da un avatar e da un indirizzo IP dai quali è possibile disconnettersi, mettersi in una modalità off line, quando ci sono delle esperienze che diventano faticose e difficili da tollerare perché in alcuni momenti fanno esperire sentimenti troppo intensi.  

Sono solo alcuni esempi di possibili situazioni, condizioni, nelle quali gli adolescenti possono ritrovarsi, e di fronte a queste possibilità, l’adulto competente deve assumere una posizione di ascolto che parta innanzitutto dal considerare, e in alcuni casi anche ripensare, l’uso e la funzione del mezzo tecnologico. Un punto di partenza diverso per comprendere quale senso e significato quello strumento assume per tutti i ragazzi e le ragazze, anche alla luce di quello che è accaduto nel corso dell’ultimo anno e mezzo. Molte sono state le esperienze di connessione che hanno permesso di costruire un collegamento, seppur on line, seppur non concreto per chi si è ritrovato a essere solo in casa. E molte sono state le possibilità, in particolare per gli adolescenti, di mantenere connessioni con amici e compagni di classe e di gioco, così con familiari lontani. 

Io credo che sia necessario partire dalla comprensione delle modalità usate per esprimere la sofferenza e la fatica, per poi provare a creare un ponte che apra a una via da percorrere. 

 

Cristina Giardullo – Psicologi in ascolto

 

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