L‘ESP (Esperto in Supporto fra Pari) è una figura presente in Lombardia da dieci anni e da tempo è impegnata in diversi campi della sanità al fianco di figure tradizionali legate alla cura e alla salute mentale.
A Saronno, in provincia di Varese, esiste la Fondazione CLS (Lavoro e Solidarietà) che insieme alla Cooperativa Sun-Chi dal 2014 si occupa di formazione e inserimento socio-lavorativo degli ESP.
Roberta Venieri, psicologa e tutor del “Progetto Facilitatori Sociali – Esperti in Supporto fra Pari”, Giusy e Fiorenzo, ESP, ci hanno raccontato la nascita e lo sviluppo di questa figura sociale, offrendo una panoramica sul percorso di formazione che si affronta per diventare ESP e sul vissuto esperienziale di chi, pur divenendo un operatore della salute mentale, porta sulla sua pelle un percorso spesso lungo e doloroso di sofferenza.
La strada da percorrere per diventare un ESP non è poca: in Lombardia il corso di formazione è finanziato dalla Regione e rappresenta un investimento di 330 ore, suddivise in 200 ore di formazione teorica e 130 ore di tirocinio pratico.
La formazione verte su svariati argomenti (farmacologia, psicologia, auto-mutuo aiuto) e, al termine del corso, viene presentata una tesina riguardante la propria esperienza.
Una volta formati gli ESP possono essere impegnati in svariate attività: si va dall’accompagnamento di persone con una qualche forma di disagio psichico dal domicilio alle varie strutture di cura, a gruppi per l’autonomia in cucina in cui si insegna ad essere autosufficienti nel prepararsi i pasti in casa, gruppi di riabilitazione legati all’espressività e all’arte e c’è persino chi, una volta a settimana, fa da parrucchiera in ospedale ai pazienti.
Ciò che un ESP fa è “sfruttare il proprio sapere esperienziale, della propria sofferenza e la consapevolezza acquisita […] e metterlo a disposizione di un altro che sta attraversando un momento di disagio”.
In questo un ESP non è solo, ma ha costantemente la possibilità di confrontarsi ed essere supervisionato da un tutor e da un’equipe.
L’ESP può diventare “un modello e un esempio di fiducia” per un utente e, a differenza degli altri operatori e degli specialisti, costruire con lui una relazione che poggia su un vissuto comune perché il facilitatore è, a sua volta, qualcuno che ha vissuto o sta vivendo tuttora un’esperienza di sofferenza.
Una relazione di una “reciprocità formidabile” che permette all’ESP di aiutare e di essere aiutato a sua volta grazie all’acquisizione di strumenti fondamentali quali l’ascolto e la comprensione, che si rivelano importantissimi anche per saper conoscere meglio se stessi e intraprendere con maggiore consapevolezza il proprio percorso di guarigione. Si tratta di “un bagaglio che continua ad aumentare” man mano che si lavora con gli utenti.
Nel libro dal titolo “ESP in cammino” redatto in collaborazione con il Dipartimento di Sociologia dell’Università Bicocca di Milano e pubblicato da Franco Angeli viene delineato lo stato attuale di questa figura; va detto che quello che è l’ESP in Lombardia non è del tutto uguale ad altre figure che esistono in diverse regioni d’Italia e che presentano anche nomi diversi.
È prima di tutto importante un lavoro di divulgazione non solo dei facilitatori sociali e di cosa essi si occupano, ma anche, a partire da ciò, dell’utilità che tali figure possono rivestire al fianco degli operatori tradizionali della salute mentale.
Sono tante le persone e i servizi che hanno dato e danno fiducia agli ESP, riconoscendo il grande investimento di tempo ed emotivo che essere un facilitatore implica e anche i risultati sul campo che negli anni sono stati conseguiti; tuttavia “siamo ancora all’inizio di un cammino” che – questo è l’auspicio – possa vedere il riconoscimento professionale dell’ESP, restituendo un ruolo sociale attivo a persone che hanno avuto un passato di emarginazione, esclusione e stigma.
Patrizio Ferrari, dottore in Psicologia e tirocinante presso il Polo Saronnese di Psicologia