I sistemi di videosorveglianza non limitano i maltrattamenti, e i loro effetti, sui bambini. Alcune alternative per fare prevenzione
Lo scopo delle telecamere nelle scuole dell’infanzia è sicuramente quello di registrare comportamenti scorretti nei confronti dei bambini, come per esempio l’abuso degli strumenti di correzione da parte di maestre e maestri. Negli ultimi anni, sia nelle regioni del nord che del sud Italia, si sono verificati numerosi casi di denuncia per maltrattamenti e abusi sui bambini.
Le telecamere sono utili, dunque, al fine di controllare, denunciare e punire le violenze psico-fisiche esercitate sui più piccoli. Tuttavia, una sanzione amministrativa o una condanna penale non incidono sulle cause ambientali, personali e professionali. Tutti fattori che portano a questi comportamenti iper-aggressivi, e non permettono nessuna vera prevenzione o cambiamento qualitativo dell’ambiente di lavoro degli asili nido. Con le telecamere, vengono delegati al “controllo” i miglioramenti necessari che passano attraverso la formazione, il riconoscimento delle qualità professionali, la prevenzione di situazioni di stress, esaurimento nervoso e burn-out. Questi ultimi sempre più frequenti in ambito educativo e nelle professioni basate su una relazione di supporto e aiuto.
Tra i maltrattamenti registrati, nonché denunciati da genitori e alcuni colleghi, si sono riscontrate violenze di tipo fisico e psicologico come urla, scuotimenti, strattonamenti, percosse, punizioni eccessive e umilianti. È evidente che le telecamere da sole non aiutano a prevenire i comportamenti inadeguati di maestre e maestri, né di conseguenza i loro effetti sui bambini. Questi ultimi possono manifestare danni importanti, tra cui il disturbo post-traumatico da stress, il disturbo dell’adattamento, problemi legati all’autostima e difficoltà nelle relazioni sociali.
Un caso di cronaca che ha avuto una certa risonanza mediatica è quello avvenuto nel 2013, in un asilo di Roma. Una maestra, e con lei la coordinatrice dell’asilo che la copriva, sono state arrestate in seguito alle registrazioni video, che ritraevano le violenze di vario tipo perpetuate su bambini di tre e quattro anni, incitando inoltre i compagni più grandi a umiliare i più piccoli, in un vero e proprio clima coercitivo e di terrore. Tra le vittime di questi maltrattamenti anche due bambini affetti da disagio mentale. Si tratta di un episodio emblematico, in cui le due donne condannate ai domiciliari sono state solamente sospese per un certo periodo di tempo dall’attività lavorativa, e poi chissà? Non sono state né licenziate, né inserite in un programma di riabilitazione e formazione, affinché col ritorno al lavoro si possa scongiurare l’ipotesi di una recidiva.
Difatti, le notizie inerenti a casi analoghi si concentrano sul fatto in sé, ma quel che accade una volta che il soggetto in questione ha scontato la pena ed è tornato in libertà e a lavoro, resta alquanto nebuloso. Situazioni di questo tipo rappresentano una falla nel sistema, a cui si potrebbe tentare di porre rimedio attraverso un percorso ad hoc utile alla reintegrazione degli insegnanti colpevoli di violenze sui bambini. E non solo, sarebbe utile anche fare prevenzione in tal senso, analizzando le criticità specifiche che hanno favorito l’emergere di comportamenti violenti. In altre parole, aver maggior cura dei luoghi e delle persone a cui deleghiamo la custodia dei nostri figli. Perché dietro ai comportamenti aggressivi delle maestre possono esserci molteplici fattori: carenze formative, carenze di personale, contesti di lavoro che richiedono competenze specialistiche, stress, senso di abbandono e mancanza di riconoscimento sociale (e retributivo) dell’importanza e complessità del ruolo svolto. La stessa Federazione Italiana Scuole Materne (FISM) ha dichiarato il sistema di videosorveglianza insufficiente, ritenendo che la telecamera da un lato non risolverebbe il problema dei maltrattamenti, dall’altro «disincentiva, quando non sostituisce, il dialogo, l’ascolto, la relazione indispensabili tra scuola e famiglia».
Al fine di prevenire fatti di tale natura, proviamo ora a pensare a una serie di alternative all’introduzione di telecamere nelle scuole, che, come si è visto, seguono una logica punitiva e sono utili solo a posteriori.
Alcuni spunti:
- Miglioramento delle competenze educative-relazionali dell’insegnante, attraverso la formazione professionale continua;
- Sistematizzare il confronto tra tutti gli attori del personale scolastico, e tra gli insegnanti stessi;
- Creare dei gruppi di lavoro (a cadenza periodica) tra insegnanti, con diverse figure come psicologi e assistenti sociali;
- Istituire uno sportello per gli insegnanti, a cui potersi rivolgere per una consulenza e per segnalare dei comportamenti sospetti o inappropriati;
- Valorizzare il lavoro (per es. con retribuzioni adeguate), ponendo inoltre maggiore attenzione all’ambiente lavorativo (per es. con strumenti idonei; rifornire adeguatamente i servizi igienici).
Tali spunti possono avere una valenza trasversale rispetto alle categorie sociali più fragili, e quindi bisognose di una tutela maggiore. Nel dettaglio, oltre alla scuola dell’infanzia, sarebbe utile porre la medesima attenzione anche nei confronti di ambienti quali residenze per anziani o strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali per persone con disagio fisico e/o cognitivo. Infatti, anche per gli episodi di violenza e maltrattamento in questi ambienti, fino a oggi l’unica “soluzione” sembra essere quella di introdurre le telecamere.
Martina Cancellieri, Enza Sirugo