Aggiungi un posto a tavola

Reportage lungo la penisola alla ricerca dei bar, ristoranti e locali dove cibo genuino e buona tavola sono sinonimo di integrazione e solidarietà.

Lo sanno anche i sassi: l’Italia è la terra della buona tavola. Meno scontata è l’esperienza di mangiare (e bene!) in ristoranti e locali creati da associazioni e cooperative sociali: a cucinare e servire ai tavoli sono ragazze e ragazzi, uomini e donne con disabilità di vario tipo. In tutto lo Stivale sono nati e stanno crescendo numerosi progetti di imprenditoria sociale nella ristorazione; dove l’integrazione lavorativa e sociale di persone con disabilità si coniuga al buon cibo ed alla solidarietà. Abbiamo fatto un viaggio tra alcuni di questi bar e ristoranti, per raccontare un’Italia diversa. L’altra metà della ristorazione.

La locanda dei girasoli
La locanda dei girasoli

Roma, quartiere Quadraro. Definito “nido di vespe” durante l’occupazione tedesca, era abitato da antifascisti e sfollati. Più “borgata” che quartiere, era fatto di casette in gran parte costruite con mezzi di fortuna, che riempirono i lotti non edificati, i giardini e gli orti. Attualmente il Quadraro sta vivendo un periodo di recupero e riqualificazione. Tra i palazzi popolari ed i muri decorati da importanti street artist, sorge la Locanda dei Girasoli, nata nel ’99 dalla volontà di alcuni genitori di trovare un impiego ai figli con sindrome di Down. Un’integrazione lavorativa e territoriale. Emanuele, ad esempio, l’aiuto chef – ed anche uno dei protagonisti del programma “Hotel 6 Stelle” di Rai 3 – è una persona down. Ed un cuoco provetto, formato all’Accademia dell’Alta Cucina. La Locanda dei Girasoli nel 2012, sotto il peso della crisi, rischiava di chiudere bottega. Oggi è nuovamente attiva: grazie all’impegno e alla dedizione dei ragazzi, ma anche al supporto di numerosi sostenitori, è riuscita a garantirsi l’autosufficienza.

Tra il mare e la metropoli, nella frazione di Casal Bernocchi, a due passi dal Tevere, la Cooperativa Il Grande Carro gestisce un’attività unica nel suo genere, il Bar Naut. Ilario Volpi, il presidente della cooperativa, spiega che si tratta di «una zona di frontiera, dove ti devi confrontare con la gente che arriva in massa tutta alla stessa ora e poi magari stai due ore con il locale vuoto. È una situazione di impatto con il cliente frettoloso che è solo di passaggio e in più, siccome è dentro la Direzione generale della Asl, molti sono clienti stanziali. Circa trecento persone, sempre le stesse, e hanno instaurato un rapporto particolare con il bar». Eppure, proprio per questo confronto forte con i clienti, non tutti i ragazzi coinvolti nel progetto – che soffrono di disagio mentale – riescono a gestire la situazione. Perciò, da ben prima di prendere in gestione il Bar Naut, la cooperativa ha sperimentato l’attività di catering. «Il catering è un’attività che consente di potersi cimentare a vari livelli di responsabilità. Si può essere coinvolti soltanto per lavare il piano di cottura – ha continuato Volpi – oppure soltanto per chiudere le vaschette. C’è sia una personalizzazione del grado di impegno, sia una dimensione di lavoro di squadra, che è il fulcro della nostra attività. Saper lavorare in squadra è una delle caratteristiche fondamentali per chi vuole lavorare in un’impresa sociale». E anche saper fare rete, perciò i pasti preparati sono circa 150 al giorno e sono destinati a centri anziani, Dsm, cooperative per senza fissa dimora. Ma perché puntare proprio sul cibo? «In un momento di crisi sono poche le attività che continuano a funzionare dal punto di vista occupazionale. Un’impresa sociale per poter reggere la “botta” deve avere tanti punti di consapevolezza e di maturità e sapersi fare due conti».

Trattoria degli amici
Trattoria degli amici

Sempre nella Capitale, nello storico quartiere di Trastevere: qui la scelta è difficile, tra tavolini apparecchiati e baciati dal sole, camerieri imbonitori e un’offerta turistica di massa. Ma c’è un buon motivo per scegliere la Trattoria Degli Amici: non un semplice ristorante. Questo locale infatti è gestito da una cooperativa promossa dalla Comunità di Sant’Egidio. Vi lavorano persone con disabilità affiancate da professionisti e amici che aiutano volontariamente. «Insieme, perché non crediamo ad un mondo diviso in due», spiega Eddi, uno dei responsabili. Nata da un circolo privato senza licenza di somministrazione, nel 2001 fu creata una cooperativa sociale sostenuta dal Comune. «L’attività – racconta Eddi – non ha fini di lucro e si basa su corsi di formazione in cucina per persone con disabilità. Il 40% delle persone che completano il corso di formazione riesce poi a trovare lavoro. tutti quanti cercano di prendere qualche ragazzo. Noi ne abbiamo 12». Per un pasto completo la spesa si aggira intorno ai 25 euro. La carta dei vini è composta da vini di piccoli e grandi produttori italiani tutti protagonisti di Wine for life, un progetto di solidarietà che vede il vino italiano sostenere il programma Dream della Comunità di Sant’Egidio per la prevenzione e la cura gratuita dell’Aids in Africa. La trattoria costituisce una scuola dove la maggior parte ragazzi possono fare esperienza. «Sia la parte teorica che la parte pratica vengono realizzate in trattoria. Per avvicinarli alle posizioni lavorative». E poi il cibo come momento di convivialità: anche questo può essere adatto alla risocializzazione. «Durante tanti anni di esperienza ho notato che già il fatto che un ragazzo, prenda il treno e venga a lavorare, è una cosa importante. Non stare tutto il giorno chiuso in casa, ti fa passare la giornata in modo diverso. C’è una persona che ha fatto cinque anni all’istituto alberghiero, abita fuori Roma. Si muove con i mezzi verso Roma e viene alla trattoria. Certo, una volta esistevano gli autobus e i taxi sociali, ma con i tagli queste cose sono state eliminate. Si lavora con un orario che permette di tornare a casa con i mezzi pubblici. Per me questo è il vero fiore all’occhiello della nostra attività. L’autonomia, la tutela, il mettere in condizioni una persona di fare il massimo di quello che può fare».

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Caffè Basaglia

Perché alla fine è anche questo l’obiettivo. Risalendo la Penisola, a Torino è molto famoso il Caffè Basaglia, dedicato a Franco Basaglia. «Noi la definiamo una locanda sociale» ci spiega Ugo Zamburru, psichiatra e responsabile del Caffè, «un luogo in contrapposizione ai grandi ipermercati, dove ci si incontra tra “diversi” per ricostruire le trame del tessuto sociale. Cerchiamo di camminare al passo degli ultimi e c’è spazio per tutti quelli che sono emarginati. Noi siamo partiti dalla salute mentale, però il nostro è un discorso più vasto che si può racchiudere nello slogan “dare voce a chi non ha voce”». Il caffè Basaglia è nato da otto anni e mezzo dall’idea di Ugo Zamburru, che vide una risorsa nell’inserimento sociale di persone con disturbi mentali. Una ventina di camerieri si alternano e si organizzano anche cene etniche, mostre, concerti. «Ci siamo resi conto che in una realtà come quella torinese non c’era stata una vera deistituzionalizzazione. Cioè non c’era un collegamento tra la salute mentale e il territorio. Allora abbiamo pensato che bisognava davvero fare incontrare la cittadinanza con questa realtà. Non un luogo istituzionale, ma un posto bello, una locanda dove si mangia, si beve e ci si incontra, ci si mescola e ci si confronta».

Stare a tavola è convivialità, un momento di pausa, di chiacchiere, di ristoro. «Perché il cibo simbolicamente ha sempre una grande valenza di socializzazione e poi perché si sa che gli affari molto spesso nella vita, da quelli amorosi, a quelli politici, allo sport, si giocano a tavola. Perché a tavola si mangia, si beve, ci si rilassa, si parla in maniera molto più libera. Poi noi non abbiamo avuto soldi da nessuno e continuiamo a non averne e in questo modo possiamo fare le nostre scelte in modo tranquillo. Abbiamo pensato che nella ristorazione ci fosse spazio per mescolarci, per attirare gente, dare lavoro ai pazienti e fare un lavoro contro lo stigma».

Nel centro di Milano, nel polmone verde di Parco Sempione, si trova Locanda alla Mano, un progetto di integrazione lavorativa e formazione dedicato a giovani con disabilità. «La idea di questa locanda è nata da un incontro che ho fatto con Martina, una ragazza down che un giorno si è ribellata sul posto di lavoro in quanto era noioso e non retribuito», racconta Fabio Bocchiola, presidente della cooperativa Contè. «È il destino di molti ragazzi down: magari portano a termine un ottimo percorso scolastico, ma poi non riescono a lavorare. Abbiamo ragionato al contrario, cercando di trovare il modo di valorizzare le loro qualità». A Firenze invece c’è il ristorante I ragazzi del Sipario, aperto a pranzo, con una cuoca professionista che coordina camerieri e assistenti con disabilità intellettiva, come al Pecora Nera, un ristorante a Lucca, nato anche questo all’interno della cooperativa “Cose e Persone”. A Modena apre i battenti la trattoria La Lanterna di Diogene, in un vecchio casale lungo l’argine di un fiume a Solara di Bomporto: i dipendenti, alcuni anni fa, erano bambini che frequentavano il centro di terapia integrata La Lucciola. Oggi sono cresciuti e cucinano, coltivano orto e frutteto, allevano animali da cortile, asini, maiali.

sorsi e morsi
sorsi e morsi

Restiamo in Emilia Romagna: Sorsi & Morsi è un bar/tavola calda nato a Ferrara nel giugno 2015 e gestito dalla Cooperativa Sociale Scacco Matto. Il bar si trova nel cuore della città e si occupa di inserimento lavorativo, avviando percorsi formativi per le persone con disagio psichico. La cucina genuina e l’ospitalità, da queste parti sono tradizione. «Il menù della tavola calda è diverso ogni giorno», racconta Giulia. «La mattina si sceglie il menù con lo staff al completo: dai panini, piadine, toast e insalate con ingredienti perlopiù invariati perché scelti dal cliente, a veri e propri menù del giorno, con antipasto, primo, secondo, contorno e dolce. La pasta fresca e gli gnocchi li facciamo noi, in casa, come una volta. E sono buonissimi. Il bar apre alle 8, in questo modo abbiamo la possibilità di preparare cose abbastanza elaborate. Ci stiamo specializzando anche in piatti vegani. Il menù di oggi ad esempio aveva come antipasti peperoni spellati in agrodolce e dei crumble salati vegani, tra i primi gnocchetti di ricotta e verza vegani e farfalle al sugo di carne. Una particolarità è che il nostro bar è alcol free, non vendiamo alcolici, per un aiuto a persone che vengono a lavorare qui e che hanno avuto una dipendenza da sostanze alcoliche».

Insomma le realtà di questo genere sono tante, il nostro viaggio ne ha sfiorate solo alcune. Come spiega Ilario Volpi del Grande Carro, è importante la diffusione di un’alimentazione consapevole, non solo per quanto riguarda i cibi ma anche i luoghi in cui li si consuma. «Abbiamo cercato di riflettere, e stiamo continuando a farlo, su quanto il cibo influisca sulla salute fisica e psichica, ancora prima di sfociare in eventuali disturbi alimentari».

In foto La trattoria degli amici