Barriere architettoniche e altri ostacoli nella vita urbana delle persone con disabilità
Abbiamo avuto il piacere di intervistare due membri attivi di Radio32, nonché persone ipovedenti, i coniugi Alessandro Napoli e Sonia Gioia, che ci hanno portato la loro testimonianza preziosa, innanzitutto per capire cosa vuol dire vivere con una diversità e di come questa venga concepita dall’esterno. Tra le altre cose, ci siamo soffermati sulle difficoltà che si riscontrano in città a causa delle barriere architettoniche e dei servizi assenti.
Alessandro, che ci tiene a essere presentato come blogger, apre l’intervista con entusiasmo dicendo che per lui la diversità è un modo differente di approcciarsi alla vita. Chi ha un handicap è stimolato a trovare un modo diverso per risolvere i problemi pratici e a guardare l’intera esistenza e le relazioni sociali da un’altra prospettiva. Per lui la diversità è ricchezza e lo conferma il tono della sua voce sicuro e senza esitazione. Tuttavia essa può essere letta anche in chiave negativa, cioè con un discrimine, dunque può diventare un ostacolo inteso come condizione sociale.
Subentra Sonia, con voce squillante e altrettanta sicurezza, esprimendosi molto chiaramente e senza timore nel dire che per lei la diversità è un punto di partenza, «una condizione che appartiene a ogni essere umano». Per lei essere diversa significa essere unica, e unico è il suo modo di vivere la vita, poi aggiunge «se per diversità si vuole intendere avere una disabilità, allora sì sono diversa».
Su quali siano le difficoltà riscontrate nella vita quotidiana, Sonia risponde che nella vita domestica non ne esistono di grandi, poiché la persona disabile tende ad adattare l’ambiente intorno a sé in base alla propria routine. Appena però esce di casa e fa qualche rampa di scale, queste difficoltà cominciano a venire a galla. Quando chiediamo a Sonia se Roma è una città per disabili, lei risponde convinta di sì, per chi ha disabilità visive, se non fosse per gli automobilisti che non considerano molto i pedoni, ma il discorso è più generalizzato.
D’altro canto Alessandro sostiene un concetto che gli sta molto a cuore, cioè che molte delle problematicità che si vivono all’interno della città di Roma sono di tipo “culturale”. In primis andrebbero migliorate le infrastrutture, rese fruibili e accessibili grazie a un’adeguata manutenzione. Fa riferimento agli ascensori delle metropolitane e alle scale mobili. Sostanzialmente, aggiunge, le infrastrutture ci sono, ma bisogna farle funzionare, e anche questa è una questione “culturale”. Bisogna considerare l’altro, questo deve entrare a far parte della mentalità delle persone. È un problema di origine sociale, che va al di là della condizione di disabilità.
Riprende la parola Sonia, dicendo che per i non vedenti quello che manca nella capitale sono i punti di riferimento: semafori sonori; strumenti di orientamento di tipo sensoriale, tipo le mappe tattili (diffuse quasi esclusivamente nei musei); il QR-code con le descrizioni in automatico, sistema che potrebbe essere usato col supporto per i cellulari dei non vedenti, collegato alla rete per accedere alle informazioni sul punto di interesse in cui ci si trova. Tutto questo, soggiunge l’intervistata, fa parte di quella che viene chiamata Smart-City. È progresso pure questo. Di difficoltà quotidiane ne cita tante, come gli autobus che alle fermate non segnalano il numero e la direzione (poche linee sono dotate di questo servizio) sicché bisogna affidarsi ai vicini.
Alessandro ribadisce che il problema è più culturale che infrastrutturale, poiché l’accessibilità e la disabilità in una città come Roma non vengono affrontate attraverso una visione globale, e questa è una grossa carenza. La politica, gli amministratori e gli operatori privati non tengono conto delle effettive esigenze delle persone, delle diversità e difficoltà. Ritengono ancora che queste necessità siano minoritarie, quando invece il numero delle persone coinvolte è molto elevato. Il 10-15% della popolazione ha bisogno di servizi particolari o di una cura specifica del tessuto urbano.
Non dovremmo stupirci se alla domanda su cosa ci sia da cambiare, Sonia ci risponde «la mentalità delle persone, l’approccio, la considerazione verso l’altro, qualunque difficoltà o disabilità esso abbia. È la sensibilità a essere sconosciuta». Le macchine non dovrebbero parcheggiare sulle strisce pedonali, impedendo a chi è in carrozzina di utilizzare l’apposita rampa, o ostacolando chi è non vedente nel passaggio sulla striscia pedonale segnaletica che fa da punto di riferimento. Inoltre è necessario che i mezzi pubblici siano dotati di pedana e segnalatori acustici, che le stazioni metro e ferroviarie abbiano i servizi funzionanti (ascensori e scale mobili). Anche gli esercizi pubblici, tra cui bar e ristoranti, hanno bisogno di essere a norma (scivoli). Per una persona con disabilità, di ostacoli e incognite ce ne sono tanti, a volte basta un po’ di pioggia e i marciapiedi diventano inagibili. Basterebbero due semplici cose: più manutenzione e un po’ di accoglienza. E ancora una volta il motivo che ritorna non è incentrato sulla mobilità. «Ci tengo a dire» prosegue Sonia «che la formazione mentale delle persone dovrebbe essere più aperta all’accoglienza».
Alla domanda se la cultura e il turismo a Roma fossero agevolati, Alessandro ci ha raccontato di vivere nella capitale da un paio di anni, e il primo approccio è stato quello del turista alla scoperta della città e dei suoi servizi. Con la moglie ha visitato musei e partecipato a iniziative che lo hanno entusiasmato. Roma risponde bene da questo punto di vista: la cultura è inclusiva; il turismo si dovrebbe adeguare un po’ di più, ma dalla parte dei privati, cioè ristoranti e alberghi, andrebbe migliorata l’ospitalità, oltre che rese più accessibili le strutture, perché non basta spostare sedie e tavoli. La cultura e le guide museali sono invece molto ben preparate e frequentemente si incontrano turisti sensibili ed empatici. «Almeno da questo punto di vista Roma è promossa a pieni voti».
Abbiamo chiesto di proporre idealmente dei quesiti al Ministero delle infrastrutture. Se potesse, Sonia chiederebbe al Ministero dei trasporti di organizzare meglio il trasporto pubblico e renderlo accessibile a tutti, a partire dai mezzi fino alle stazioni. Al Ministero della cultura chiederebbe di non preoccuparsi di “deturpare” un bene del patrimonio artistico, mettendo per esempio una pedana, poiché permetterebbe a tutti di visitare il luogo museale o sito archeologico, senza discriminazione. Ciò significherebbe valorizzarlo, dando supporto e accoglimento.
Alessandro sostiene che non è solo il Ministero delle infrastrutture a essere chiamato in causa per quanto riguarda le barriere architettoniche. Lo scorso anno durante il periodo del lockdown, sono proseguite delle iniziative di formazione da parte del Comune rispetto ai temi della disabilità e dell’accessibilità. «Vorremmo che questi percorsi formativi, queste conoscenze che tutti i settori di Roma hanno potuto approfondire, si trasformino in programmi concreti per rendere la città una capitale pienamente accessibile e fruibile». Poi sottolinea sarcasticamente che spesso i fondi investiti sul territorio per interventi di accessibilità sono più funzionali alla comunicazione politica che alla vita delle persone. L’intervistato ritiene che si possa agire seguendo una visione d’insieme come priorità, quindi andrebbero sollecitati più ministeri, dipartimenti e assessorati. «La questione della disabilità e dell’accessibilità deve essere resa centrale nelle politiche territoriali, ricordando che si può sviluppare un elevato moltiplicatore economico da interventi nel settore e da una società più inclusiva, poiché permettendo a più persone di vivere la città, incrementerebbe lo sviluppo economico. Soprattutto auspichiamo che ogni tipo di intervento arrivi anche nelle periferie: di tipo strutturale, che riguardi le infrastrutture dei trasporti, ma anche di tipo funzionale alla fruizione del tessuto urbano, quindi abbattere le barriere sensoriali installando semafori sonori o LOGES (sistema tattile al piede che permette alle persone con disabilità visiva di muoversi in autonomia), ancora poco diffusi». Il punto, dice Alessandro, è dare una nuova idea di città, a partire dalla periferia meno avanzata, con un punto di vista complessivo per quanto riguarda la questione precedentemente detta. Lo sviluppo del tessuto urbano di Roma deve seguire un’evoluzione sempre più al passo coi tempi. L’augurio finale è che l’Italia si affretti a mettersi al passo con gli altri paesi europei che si trovano più avanti e che colmi questo divario che ora ha nell’accessibilità.
Alessandro e Sonia hanno affrontato con grande serenità diversi temi cardini che uniscono cittadini “normodotati” e disabili, due mondi ancora molto separati. E non solo da barriere architettoniche, ma anche mentali.
Foto di MabelAmber CC-License