La parola stress è entrata da ormai moltissimo tempo nella comune terminologia di tutti i giorni. Si parla del capo che ci stressa, delle relazioni stressanti, del ritmo di vita stressante… tutto ormai sembra essere caratterizzato da una connotazione stressante.
Ma qual è il significato di questa parola che tanto utilizziamo in così tanti contesti? L’enciclopedia Treccani dà questa definizione: “Tensione nervosa, logorìo, affaticamento psicofisico e anche il fatto o la situazione che ne costituiscono la causa. Nel linguaggio medico, la risposta funzionale con cui un organismo reagisce a uno stimolo più o meno violento (stressor) di qualsiasi natura (microbica, tossica, traumatica, termica, emozionale, ecc.). Negli organismi degli animali superiori si configura in una serie di fenomeni neuro-ormonali fra i quali predomina l’intensa attività secretoria della corteccia surrenale.”
Lo stress dunque rappresenta una risposta fisiologica a un evento che l‘individuo percepisce come stressante o pericoloso. Quando siamo di fronte a un pericolo, reale o immaginario che sia, l’emozione che proviamo sollecita l’ipotalamo (una struttura del sistema nervoso centrale situata nella zona centrale interna ai due emisferi cerebrali) che a sua volta attiva l’ipofisi, una ghiandola endocrina situata alla base del cranio. L’ipofisi attiva il surrene, composto da due ghiandole surrenali (situate sopra i reni) che producono una gran quantità di ormoni, in particolare noradrenalina, adrenalina e cortisolo. Il cortisolo è appunto conosciuto come “ormone dello stress” perché viene liberato ogni qual volta l’organismo è esposto a un evento riconosciuto come stressante.
L’attivazione a cascata di tutti questi neurotrasmettitori e ormoni, tra cui il cortisolo, ha degli effetti rilevanti a livello corporeo il cui scopo è quello di attivare una risposta fisiologica potente. A livello cardiaco e cardiovascolare si manifesta con un aumento del battito cardiaco e della pressione sanguigna per pompare più sangue, a livello respiratorio con un aumento della dilatazione bronchiale per portare più ossigeno ai muscoli, a livello digestivo con un rallentamento dei processi digestivi tra cui la stimolazione da parte del fegato della glicogenolisi, a livello cutaneo con una costrizione dei vasi sanguigni: tutto ciò per preparare l’organismo ad un’imminente reazione fisica funzionale alla sua sopravvivenza (l’attacco, ad esempio, o la fuga).
E qui è la parte più interessante della questione, perché un evento può essere percepito da un individuo come più o meno stressante a seconda delle sue pregresse esperienze, di come esse sono state vissute a livello emotivo e delle reazioni messe in atto per fronteggiare quell’evento. È interessante anche notare come una risposta fisiologica nata per garantire la sopravvivenza e l’evoluzione dell’organismo si sia oggi trasformata in una reazione che, se cronicizzata, può diventare nociva per l’individuo.
La vita che siamo ormai abituati a condurre, ricca di pressioni e impegni che lasciano sempre meno spazio a momenti di “sana inoperosità”, può portare a una cronicizzazione di questo stato di allerta che a lungo andare ripercuote i suoi effetti nocivi a livello psicofisico.
Infatti, lo stress può portare a una serie di sintomi corporei che rischiano di cronicizzarsi in veri e propri disturbi: dalla difficoltà di deglutizione, agli spasmi esofagei che possono essere frequentemente confusi con dolore cardiaco, gastrite, difficoltà digestive, ulcere, reflusso gastroesofageo e colon irritabile. Anche l’apparato urogenitale può risentire della cronicizzazione dello stress, manifestando disturbi della minzione o della sfera sessuale, così come quello muscolare con senso di contrazione, rigidità, ma anche affaticamento. Lo stress può colpire inoltre l’aspetto dermatologico con patologie cutanee come eczemi o alopecia, così come sono ormai molto frequenti i sintomi psicologici come insonnia, disturbi dell’appetito, difficoltà di concentrazione e stanchezza mentale.
Numerose ricerche scientifiche hanno appurato ormai una stretta e solida correlazione tra stress, le malattie in cui c’è un abbassamento delle difese immunitarie e fenomeni ossidativi, motivo che ha portato ad ipotizzare che le patologie infettive e anche quelle autoimmuni potrebbero trovare una maggiore probabilità di espressione in un organismo fortemente stressato e quindi più indifeso a livello immunitario.
Risulta perciò di indubbia importanza lavorare soprattutto a livello di prevenzione, imparando a modulare l’emotività correlata a ciò che percepiamo come evento stressante o pericoloso e sulla possibilità di ridurre la risposta fisiologica correlata alla percezione emotiva di un evento.
Una pratica che si rivela estremamente utile è quella della meditazione o mindfulness, un’esperienza in cui la mente si raccoglie, si focalizza su qualcosa e ogni volta che si allontana viene riportata con gentilezza all’oggetto della nostra attenzione (ad esempio il respiro). Un modo per non essere più in balìa dei pensieri affannosi che ci sovrastano e per ritrovarsi in uno stato di “calma vigile”. La mindfulness ha un effetto positivo sullo stress proprio perché ristabilisce il primato delle sensazioni corporee su quelle cognitive, che rischiano di cronicizzare lo stress.
Anche l’attività fisica ha riconosciuti benefici nel fronteggiare lo stress, perché regola la produzione di endorfine e altri neurotrasmettitori del sistema nervoso centrale e modula gli effetti dell’attivazione del sistema simpatico dovuta allo stress. Infatti, se lo stress attiva il sistema nervoso simpatico con le conseguenze fisiologiche descritte in precedenza, l’attività fisica attiva il sistema vagale che riduce l’attività del simpatico, determinando una riduzione della frequenza cardiaca, della vasodilatazione e vasocostrizione e della sensibilità gastrointestinale.