Internet non è un posto sicuro
Cariche d’odio arrivano violente e aggrediscono i più deboli, forse un calcio sarebbe stato meglio, almeno in quel caso il livido va via. Stiamo parlando delle parole di cui si armano gli haters, i “profughi digitali”. Sono un gruppo di utenti che sui social fomentano odio sfidandosi a colpi di tastiera, diffondendo discorsi mirati all’intolleranza (Hate Speech). Non si direbbe, ma anche nel web si commettono crimini, basta poco per distruggere un sogno o l’autostima altrui.
È evidente che la rete sia divenuta una discarica di rabbia e frustrazioni: chi attacca personaggi pubblici, chi emeriti sconosciuti, a proprio piacimento. I commenti degli haters girano nel web, nella maggior parte dei casi in forma anonima. Tali utenti affermati si nascondono dietro uno schermo per sentirsi più forti, darsi un nickname gli dà protezione, tanto che a volte costruiscono profili falsi con cui ingannano gli altri. Appaiono audaci dal modo in cui scrivono, senza tante perifrasi, ma quel coraggio non sembra sufficiente per firmarsi col proprio nome e cognome.
Il nascondersi dietro un fake concede una scusa in più all’odiatore, che non si sente responsabile di quello che scrive e delle conseguenze che ne derivano. Internet è visto come una zona franca, dove eclissarsi e restare impuniti. Doveva essere un posto sicuro, ma la verità è che non lo è mai stato. Sui social si scrive di tutto, si spazia da un argomento all’altro, anche senza cognizione di causa. L’ignoranza, il giudizio, l’odio regnano sovrani. Sono questi i profili di persone che si arrogano della libertà di espressione, travisandola a modo proprio col “diritto” di sentenziare su tutto, con i loro modi prepotenti. E non c’è pietà per nessuno.
I motivi di tali comportamenti possono essere tanti: autocelebrazione, insicurezza, bassa autostima, frustrazione. Sono state fatte delle ricerche per individuare le persone che hanno perseguitato intere masse. La cosa inquietante è che in apparenza sono persone qualunque. Per questo è importante la lotta allo stigma e al pregiudizio.
Come poter conciliare le due cose? Nella maggior parte dei casi, parlando di haters si finisce col parlare di Cyberbullismo. Se da una parte ci sono bulli che usano internet per esercitare la loro arroganza sugli altri, dall’altra ci sono anche casi di persone che si limitano a tempestare le pagine web di insulti, seminando odio senza un fine particolare, per puro divertimento. Generalmente vengono prese di mira delle macro-categorie, come per esempio: gli stranieri, i gay, le donne, i diversamente abili, gli ebrei, differenti religioni e classi sociali.
Anche la politica è un canale preferenziale di incitamento all’odio. Questa piaga sta colpendo anche personaggi famosi, poiché sui social è possibile raggiungere tutti. Degno di nota è quello che è successo a Liliana Segre, 90 anni e senatrice a vita. Segre è un’ebrea sopravvissuta all’abominio di Auschwitz, in quanto superstite dell’olocausto pare essere uno dei bersagli preferiti dai cosiddetti “leoni da tastiera” in questi ultimi tempi. Ha subìto orribili commenti discriminatori e minacce che fomentavano l’odio razziale, che sembrano ancora avere seguito.
Eppure la senatrice non è l’unico personaggio di spicco nel mirino degli odiatori: sono stati bersagliati anche George Soros, Mark Zuckerberg e Gad Lerner, quest’ultimo attaccato da haters leghisti. C’è uno stretto legame tra politica e haters “di professione”, lo conferma il fatto che ci sono stati casi in cui i politici stessi hanno rilasciato dichiarazioni discutibili, cariche di violenza e rancore, che hanno aizzato followers con post offensivi e ai limiti del dibattito civile.
È in casi come questi che ci si rende conto del lato oscuro della rete e la pericolosità di coloro che all’interno di tale dimensione mettono in mostra la parte peggiore di se stessi nei confronti delle minoranze e delle categorie “fragili”. Oggi è divenuto basilare per tutti imparare a difendersi da questi moderni predatori rapaci. Allora cominciamo a riflettere, cominciamo a denunciare i comportamenti e i fenomeni d’odio. Non è questa la società inclusiva di cui parliamo.
Foto di Christopher Ott | cc license