I servizi del Centro antiviolenza Sara Di Pietrantonio all’interno dell’Università di Roma Tre

Foto di Francesca Ruggieri

Dalla diffusione di una cultura diversa alla riduzione del danno fino all’emergenza

L’idea di aprire un centro antiviolenza all’interno dell’Università degli Studi Roma Tre è nata nel Comitato Unico di Garanzia di Ateneo, che si occupa di parità in ambiente lavorativo, inclusione, benessere organizzativo e accessibilità. La rappresentante dell’amministrazione Francesca Fiorini ci ha raccontato che per poter aprire un CAV si è dovuta trovare una struttura che rispettasse determinati requisiti: un doppio accesso, di cui uno più riservato (in via Libetta) rispetto all’ingresso in via Ostiense 147; almeno due stanze, una riservata alla zona amministrativa e una per l’accoglienza e l’ascolto. «C’è stato un lavoro che ha coinvolto un po’ tutte le direzioni di Ateneo» spiega Fiorini, che evidenzia «questo CAV non è riservato soltanto alle studentesse e al personale docente, ma a tutte le donne che possono averne bisogno».

A novembre l’associazione Lucha y Siesta è risultata vincitrice del bando e poco prima di Natale il centro è stato inaugurato. L’operatrice antiviolenza Simona Ammerata spiega come i CAV siano composti sempre da equipe multidisciplinari: «siccome noi affrontiamo dall’emergenza, alla valutazione del rischio, alla fuga, fino al lavoro, cioè il percorso di costruzione di autonomia, abbiamo diverse figure professionali. Tutte sono innanzitutto operatrici antiviolenza. Inoltre ognuna ha delle formazioni specifiche: io sono educatrice, poi ci sono psicologhe, avvocate, mediatrici linguistiche e interculturali, assistenti sociali, antropologhe». Quanto ai diversi servizi proposti, nel corso degli anni, Lucha y Siesta ha costruito una metodologia standard, a partire dall’accoglienza. «La cosa principale è l’ascolto delle donne che arrivano per necessità, ma soprattutto per volontà di affrontare la dinamica di violenza che stanno vivendo. Si tratta di un ascolto h24, quindi ci possono contattare in condizioni di emergenza estrema, noi facciamo anche degli accompagni o interveniamo, laddove è necessario, presso il pronto soccorso o presso le forze dell’ordine».

Poi c’è il lungo percorso di elaborazione e fuoriuscita della violenza. «Nel colloquio proviamo a destrutturare quelle che sono le condizioni di violenza che, oltre alla relazione intima dove avvengono, quelle condizioni vengono perpetrate anche fuori da quella relazione, nella società. Le psicoterapeute hanno una doppia funzione: consulenza (dai tre ai sei incontri di sostegno in un momento particolarmente difficile del trauma che si sta vivendo), o anche di valutazione insieme alla persona di effettuare o meno un invio a una terapia più strutturata o presso altri servizi territoriali della ASL o del Municipio VIII. Ci sono poi le legali civili, penali e minorili; le mediatrici interculturali per le donne che provengono da contesti migratori di ogni genere; l’operatrice che si occupa delle condizioni abitative; l’orientatrice al lavoro e alla formazione, per il percorso di empowerment, di riconoscimento e validazione delle competenze, invio in percorsi formativi, di inserimento lavorativo, o anche accesso a tutte le condizioni di Welfare, come il contributo di libertà; l’educatrice effettua la valutazione delle necessità di supporto genitoriale, ma anche del sostegno per i minori vittime di violenza assistita o diretta.

Tutte le figure professionali si occupano di altri servizi importanti, il primo è la valutazione del rischio, che facciamo appena la donna accede al centro, ma anche durante il percorso, poiché ci sono situazioni in cui la donna accede al CAV perché sa di star vivendo abuso e maltrattamenti, ma non ha ancora la consapevolezza o la volontà di fuoriuscirne, o la sta costruendo. Allora la valutazione del rischio serve a mantenere lo stato di incolumità della donna che seguiamo».

Inoltre il CAV Sara Di Pietrantonio dedica gran parte del lavoro all’attività di prevenzione e sensibilizzazione, poiché, spiega Simona «non si lavora solo sulla riduzione del danno. I centri antiviolenza sono soprattutto propulsori di una cultura diversa che va a intaccare le radici della violenza, per contrastare la dinamica dove si origina. Essendo all’interno dell’università, il CAV ha instaurato una relazione con alcuni collettivi di studentesse con cui il martedì pomeriggio gestiamo uno spazio peer to peer per le iscritte all’università. Si tratta di un primo orientamento, confronto, un’accoglienza più leggera su alcune questioni che vanno dalle relazioni tossiche alla salute sessuale e riproduttiva all’orientamento coi servizi territoriali. Insieme a loro facciamo una volta al mese un incontro pubblico che si chiama “la consultoria del martedì”, giriamo per i dipartimenti con un tema diverso e una metodologia circolare, quindi è più un confronto. Di volta in volta invitiamo delle esperte con cui affrontiamo delle questioni complesse».

Quanto ai prossimi appuntamenti del CUG, nel mese di maggio sarà organizzata una giornata incentrata sul benessere. «L’idea», racconta Fiorini, «è quella di una giornata in cui ci sarà una lezione di yoga, una passeggiata a Garbatella e un punto informazioni sui corretti stili alimentari. Insomma non è soltanto lotta all’eliminazione delle disparità di genere, ma qualcosa di più ampio. Per l’autunno stiamo pensando di organizzare una giornata di sensibilizzazione sulla disabilità. Il titolo dovrebbe essere Campioni nella vita, quindi vorremmo invitare qualche nome importante con problemi di DSA o alcuni atleti paraolimpici, che possano portarci la loro esperienza. È ancora tutto in fase embrionale ma l’idea c’è».