Orti urbani Garbatella: dalla rigenerazione urbana all’inclusione sociale

Intervista a Luigi Di Paola esponente di Ortincomune

Nel 2008 l’area verde sulla Cristoforo Colombo, di fronte all’ex Fiera di Roma e adiacente al Palazzo della Regione Lazio, rischiava di essere destinata a programmi speculativi. Associazioni ambientaliste e cittadini si sono battuti per la tutela di questo polmone verde, dando vita così a un parco e agli orti urbani, una delle prime esperienze nella città di Roma. Luigi Di Paola è un Gardeniser o coordinatore di orti urbani comunitari. “I nostri orti urbani nascono come buona pratica di contrapposizione alla speculazione edilizia, come presidio dei cittadini per la protezione di 45 mila mq di verde. Solo dopo ci siamo resi conto che questo progetto aveva delle potenzialità nascoste, essendo un polo di attrazione comunitario che riusciva a diventare presidio non solo ambientale ma anche sociale. Poiché i fondi destinati dalla Provincia erano insufficienti, abbiamo cominciato ad autofinanziarci. Inizialmente l’obiettivo prefissato, cioè quello della creazione degli orti, era abbastanza arduo, viste le condizioni in cui si trovava quel terreno, con la presenza di catrame e cemento. Per questo siamo riusciti ad attirare diverse associazioni e cittadini”.

Quanto agli intenti di inclusione sociale, l’intervistato ha raccontato: “ si è deciso di dedicare buona parte degli orti ad attività con finalità sociali, come l’orto didattica, che entra nei POS (Punti Ordinati di Spesa) delle scuole del territorio, e orti che negli anni sono stati assegnati ad associazioni che si occupavano, per esempio, di inserimento dei migranti, come Asinitas, o di genitori con figli con disabilità. Infine abbiamo sviluppato il progetto Garbatella tra le mani,  insieme alla Lega del Filo d’Oro, che si occupa di cecità. Uno degli elementi qualificanti  è stata la creazione di un percorso sensoriale per persone non vedenti, fatto con delle formine di terracotta stampate in braille, su ogni stampino c’è un QR Code che spiega quali sono le piante e come sono state coltivate. Il fine è quello di creare un‘interazione tra quello spazio e le persone non vedenti. Nell’ambito di questo progetto abbiamo creato anche  un orto sopraelevato per le persone con difficoltà motorie o sensoriali, è una specie di vascone di legno con degli spazi per poter inserire la carrozzina e poter coltivare utilizzando le mani.

Foto di Francesca Ruggieri
Foto di Francesca Ruggieri

Di Paola ha poi precisato che se si vuole avere in assegnazione un orto bisogna avere dei requisiti: abitare nelle vicinanze, non usare pesticidi e OGM, essere pensionati o disoccupati. E’ richiesta, inoltre, la partecipazione ai lavori comuni come la sistemazione della vigna urbana. Tra le varie attività si effettuano corsi di cosmesi naturale, cioè come imparare a produrre la crema solare con il miele. Quello dell’orto è un beneficio che in realtà comporta impegno e fatica, “e si parla sempre e comunque di impegno volontario – spiega Di Paola- . Anche l’Europa è particolarmente attenta alla crescita degli orti urbani. A Roma dal 2009 ad oggi si sono sviluppate 150 esperienze orticole, ma nelle altre città europee sono anni che questa pratica è sostenuta da finanziamenti UE”. Si pensi che il Gardeniser è una figura professionale che in Francia, Inghilterra, Germania e Austria viene considerata alla stregua di qualsiasi altro lavoro, percependo uno stipendio pubblico. Mentre in Italia il Gardeniser non è riconosciuto e difatti lavora a titolo gratuito. Spiega Di Paola “con l’associazione Replay Network, che si occupa della gestione dei corsi per Gardeniser, abbiamo provato, insieme con la Regione Lazio, a essere riconosciuti a livello professionale ma il percorso è piuttosto complesso”.

Per chi vuole avere un orto il costo è di poche decine di euro l’anno, più una quota comune di gestione e una assicurativa di circa 10-15 euro l’anno. “È tanto invece l’impiego di tempo e di lavoro”, avverte Di Paola, che conclude “in termini di resa l’orto è un’attività in perdita, ma è anche vero che lo scopo non è quello di portarsi la cassetta di ortaggi a casa, bensì far parte di un progetto di rigenerazione urbana, quindi c’è un grosso beneficio di tipo sociale e collettivo”.