Nonostante i suoi benefici, il tiro con l’arco resta uno sport poco popolare e poco diffuso. Che sia svolto al chiuso o all’aperto, al livello agonistico o amatoriale, questo sport permette di essere attivi, di bruciare calorie e può essere praticato da tutti, indipendentemente dall’età, dal sesso o dalle capacità. Questa disciplina, se praticata con costanza allena i muscoli delle braccia, delle spalle, del busto e delle mani, oltre a rafforzare la propria postura. È richiesta per questo sport, una buona precisione, che può essere raggiunta solo se mente e corpo sono in armonia.
Numerosi, infatti, anche i benefici per la salute mentale, tra cui il rilassamento, la presa di autocontrollo, un incremento della capacità di concentrazione e, poiché contrasta lo stress, un miglioramento delle funzioni cardiovascolari. Inoltre, può essere anche uno sport di squadra e quindi favorisce la socializzazione.
Trattando oggi questo argomento, infatti, siamo abituati a parlarne come di uno sport. Tuttavia, fino a pochi secoli fa, il tiro con l’arco era una vera e propria tecnica di battaglia, e come tale si è sviluppata differentemente nelle varie zone del mondo.
Al giorno d’oggi la tecnica e l’arco occidentali sono sicuramente quelli più popolari, tuttavia non sono gli unici; infatti il Giappone, ad esempio, porta ancora avanti la tradizione del Kyudo con il suo peculiare arco.
In questa disciplina, però, le particolarità non si limitano alla forma dell’arma o alla preparazione che anticipa lo scocco della freccia: la più grande differenza rispetto alla concezione occidentale del tiro con l’arco risiede proprio nella filosofia che si cela dietro a tutto ciò.
Infatti, se noi pensiamo a questo sport, insieme ad arco e frecce, in maniera automatica ci viene subito in mente anche il bersaglio da centrare. Proprio questa focalizzazione sull’esito, e non sul processo che l’ha reso possibile, denota più in generale la tendenza delle popolazioni dell’ovest a porre l’attenzione sui risultati.
Al contrario, nel Kyudo – come raccontato anche nel libro di Herrigel Lo zen e il tiro con l’arco – il centro del bersaglio non è lo scopo del lancio della freccia bensì, se capita di prenderlo, è semplicemente la dimostrazione che il percorso intrapreso ha seguito il giusto cammino.
Nonostante la diversa visione dell’esercizio però, entrambe le tecniche sono accomunate dal fatto di essere un’ottima attività tanto per quanto riguarda il livello fisico, così come per quello mentale e sociale, stimolando chi lo pratica sotto diversi punti di vista, che aiutano l’individuo a impegnarsi nell’auto-miglioramento.
Questo percorso di evoluzione che accomuna l’uomo e l’arco, però, deriva a tempi ancora più remoti, quando lo sport non esisteva e le battaglie erano semplici lotte tra tribù: questo strumento nasce infatti come utensile da caccia. Addirittura si ritiene che la prima raffigurazione di un arco risalga a circa 30.000 anni fa, e che già dal Paleolitico il genere umano si servisse di questo strumento al fine di cacciare prede e, allo stesso tempo, mantenersi a distanza da esse.
Probabilmente, ciò che da una parte spaventa di questa disciplina è anche ciò che dall’altra attrae: da una parte c’è il rischio, perché in fondo sempre di un’arma si tratta, ma allo stesso tempo c’è anche la scarica di adrenalina nel sentire questa grande sensazione di potere sulla punta delle dita. È proprio tenendo conto di entrambe queste sfaccettature infatti, che è possibile comprendere l’insegnamento che deriva da questa attività.
“Il tiro con l’arco non mira in nessun caso a conseguire qualcosa d’esterno, con arco e freccia, ma d’interno e con se stesso”
Eugen Herrigel
Remo Reboa e Claudio Troiani